SOMMARIO Il volto delle donne di Villapizzone quasi un secolo fa, donne di umili origini, in una fotografia che le ritrae nel duro lavoro al lavatoio, un tempo esistente in via Fusinato e di cui fu realizzato un bel dipinto (che qui pubblichiamo). Nel territorio dell’ex Comune di Musocco, in una villa aristocratica sopravvissuta alle impietose demolizioni del borgo, abbiamo una piccola torre costruita apposta per ammirare dall’altro il bel paesaggio circostante. Scomparsa, invece la Melgasciada, divenuta leggendaria perché frequentata da due celebri banditi
di Claudio Gironi
Il borgo di Villapizzone ha origini molto antiche. Secondo quanto riportato in una memoria redatta nel 1530 dal monaco Giacomo Stella, rettore della parrocchia di San Martino, in origine la zona era ricoperta da un fitto bosco nel quale dimorava un monaco greco di nome Attanasio Piccione, morto intorno al 300 d.c., che aveva eretto in luogo un Oratorio dedicato a San Martino. Il bosco veniva chiamato Bosco Piccione e, quando dopo il 530 i Monaci Neri (Benedettini) proprietari del luogo, tagliarono gli alberi per mettere a coltura i terreni, il villaggio che sorse in zona prese il nome di Villaggio Piccione, poi Villabezone, infine Villapizzone. Ai Monaci Neri subentrarono, in epoca imprecisata, gli Umiliati di cui alcune famiglie nobili milanesi, come i Marliani ed i Crivelli ad esempio, divennero successivamente livellari. Agli Umiliati viene anche fatta risalire la rifabbrica della primitiva costruzione religiosa dedicata a San Martino, la cui fondazione, secondo la versione di Mauro Panizzardi, parroco di Villapizzone ai primi dell’Ottocento, risalirebbe al 600 d.c. ad opera dei Monaci Neri. La prima citazione su un documento ufficiale di Villapizzone (Villabezone nell’originale) risale al 1179, in un atto del Comune di Milano. Anche per i secoli successivi disponiamo di documenti che ci parlano della continuità abitativa di Villapizzone: fra questi la locazione di una decima a Villabezono nel 1259, un’altra locazione nel 1423, una nota delle entrate della chiesa di San Martino nel 1560 e la testimonianza di un precedente “riattamento” dello stesso edificio religioso nel 1401 da parte di un Marliani, medico di Gian Galeazzo Visconti, proprietario di vasti appezzamenti in luogo.
Ai Visconti apparteneva anche il nobile Antonio che nel 1604 donò alla Parrocchia di San Martino il terreno (di braccia milanesi 35 x 24, vale a dire circa trecento metri quadrati) sul quale venne poi costruita la nuova chiesa, quella odierna di Piazza Villapizzone, in sostituzione della precedente, piccola e ammalorata, che sorgeva lungo la Strada Elvetica (attuale Via Varesina) e che sopravvisse, in qualità di semplice Oratorio, fino al 1783, anno della sua demolizione. Agli anni Settanta/Ottanta del Novecento risale la cancellazione dell’ultima testimonianza della sua esistenza, vale a dire un lacerto di affresco che, secondo anche la tradizione popolare del quartiere, peraltro confermata dai documenti antichi, ne ricordava l’esatta ubicazione.
LA “NUOVA” SAN MARTINO
L’impulso decisivo per la costruzione di una nuova chiesa fu determinato dalla visita pastorale del cardinale Federico Borromeo, avvenuta nel 1603, in seguito alla quale l’alto prelato ordinò di provvedere all’ampliamento del vecchio edificio oppure di fabbricarne uno nuovo. Fu questa seconda opzione ad essere scelta e fu da lì che ebbe origine il percorso che, attraverso varie fasi successive, avrebbe poi portato alla nuova San Martino. Una lapide, affissa su una parete del coro, fissava la data di inizio della costruzione all’undici giugno del 1604 mentre non sembrano esserci dati precisi sul termine dei lavori, anche se pare che nel 1640 la chiesa fosse più o meno finita. Ancora nel corso dell’Ottocento si susseguirono lavori di adeguamento dell’edificio: il più importante fu l’ampliamento della chiesa, le cui misure vennero portate a raggiungere una superficie di metri 36 x 18. Nel 1835 furono poste in opera sul campanile quattro nuove campane, in sostituzione delle tre preesistenti mentre nel 1843 anche il vecchio altare di legno venne sostituito da uno in marmo. Ma fu nel 1893 che, grazie a un lascito di lire 15.000 da parte di monsignor Giovanni Radice Fossati, si pose mano a una radicale revisione della vecchia chiesa, con il progetto dell’architetto Alfonso Parrocchetti che portò alla costruzione della parte superiore del campanile e della cupola, all’aggiunta delle navate laterali e al rifacimento della facciata. Tutti i lavori terminarono nel 1904 anche se la nuova chiesa era già stata consacrata nel 1896 da monsignor Mantegazza. L’aspetto attuale di San Martino risente però di un nuovo e più impattante intervento risalente alla fine degli anni Sessanta del Novecento quando i lavori sulle strutture della chiesa modificarono notevolmente alcune parti della stessa. In particolare fu la zona absidale a subire le maggiori trasformazioni, con la demolizione della parte antica, l’eliminazione delle cappelle laterali e la successiva edificazione di un nuovo spazio nella zona posteriore.
Dalle memorie del monaco Giacomo Stella sappiamo anche che, in anno imprecisato, più della metà del paese, compresa la canonica, venne incendiata da truppe spagnole in transito sulla medesima Strada Elvetica, dove era ubicata una parte del borgo.
LA VILLA RADICE FOSSATI
L’ultimo feudatario di Villapizzone fu il conte Giorgio Giulini, illustre storico, che prese gratuitamente possesso del feudo nel giugno 1770 proprio per i meriti acquisiti in quel campo. A partire dai primi decenni dell’Ottocento si assistette ad un processo di concentrazione delle proprietà per iniziativa di Giovanni Fossati che portò la famiglia, divenuta nel frattempo Radice Fossati, ad essere verso la fine dell’Ottocento proprietaria di gran parte del borgo. Alla metà di quel secolo risale la costruzione della villa omonima che rappresenta tuttora uno dei simboli riconoscibili di Villapizzone. Il complesso è costituito da un corpo centrale, dalla forma vagamente a elle, all’epoca destinato a dimora signorile, nel quale risiedevano i proprietari durante la loro permanenza a Villapizzone, sovrastato dalla caratteristica torretta belvedere; da un altro edificio, le cosiddette stalle neogotiche, posto a chiudere gli spazi verso la confinante Cort del Ferree; da un giardino interno posto fra i due edifici appena citati; dal cortile rustico della Cort del Lazzarètt dove un tempo risiedevano i coloni dei Radice Fossati e da un bel parco.
CORTI E FONTANILI: CHE COSA RIMANE
Purtroppo non più esistenti sono invece l’osteria della Melgasciada e la Cascina dell’Archetto, importanti testimonianze storiche a livello cittadino, sacrificate negli anni del boom edilizio del dopoguerra. La celebrità della prima, legata alle vicende dei briganti Battista Scorlino e Giacomo Legorino, nonché al leggendario tesoro lì nascosto dagli stessi, confermata anche dagli scritti di illustri scrittori di storia milanese, non è stata sufficiente nel 1959 a salvarla dalla demolizione. Per la storia dell’osteria Melgasciada leggi QUI.
Ugualmente demolita è stata, nei medesimi anni, la Cascina dell’Archetto, posta all’estremo limite settentrionale del comune di Villapizzone, in quella fascia di territorio compresa tra l’inizio del ponte di Via Palizzi e piazzale Cacciatori delle Alpi, la cui importanza storica era dovuta all’esistenza nei pressi di un fondamentale snodo idrografico che coinvolgeva i fontanili Nirone, Cagadenari e il torrente Mussa. Una chiusa, denominata per l’appunto Chiusa dell’Archetto, regolava il fluire delle acque in funzione delle necessità, di approvvigionamento idrico e di difesa militare, della città di Milano.
Nonostante le trasformazioni del Novecento la struttura urbanistica dell’antica Villapizzone rimane ancora percepibile, malgrado le gravi perdite subite, grazie alla sopravvivenza di alcune delle vecchie corti del borgo come la Cort del Lazzarètt, la Cort del Ferree, la Cort del Prestinee, la Cort di Stati Uniti (anticamente Cort del Cattani), la Cort del Missaglia (anticamente Cort Cicògna), la Cort del Fattor, detta anche Cort di Pee Bianch. Non più esistenti sono invece la Cort di Barlaschitt, detta anche Cort di Pee Negher e i Maghitt, antico mulino, entrambi nell’attuale Via Negrotto nonché la Cort di Brambillon, la Cort del Fortin e l’edificio della Porta Murata, parte di un’antica villa dei Castelbarco Albani da tempo scomparsa, tutti nell’attuale Via Mantegazza.
“Coo de chì” e “Coo de là”
Da rilevare che la conformazione del borgo faceva riferimento a due parti distinte chiamate “Coo de chì” e “Coo de là” cioè, traducendo dal milanese, “Testa di qui” e “Testa di là”. Queste espressioni erano riferite ciascuna a una specifica parte di Villapizzone: la prima posta a meridione della Chiesa di San Martino, comprendente quindi le corti ubicate intorno a Via Mantegazza e Via Fusinato; la seconda, posta invece intorno a Via Negrotto. Questa curiosa caratteristica aveva una precisa connotazione storica visto che già nella Carta elaborata dal Claricio nel 1583-1600, riproducente i dintorni di Milano per un raggio di cinque miglia, appaiono nettamente distinti due villaggi vicini cui viene attribuito il medesimo nome: Lipizone, sorta di corruzione locale del più esteso Villapizzone. La reale motivazione della suddivisione del paese in due unità distinte può essere ragionevolmente fatta risalire alle differenti proprietà terriere cui faceva riferimento l’ambito territoriale dell’antica Villapizzone. Ricordiamo a questo proposito l’esistenza in loco di estesi diritti di proprietà delle nobili famiglie milanesi dei Visconti, Marliani e Castiglioni tanto che, intorno alla metà del secolo XVIII ancora venivano citati in documenti ufficiali riferiti a Villapizzone un Comune Marliano, un Comune Castiglione e un Comune Dominante, a conferma dell’importanza delle proprietà terriere nobiliari nella definizione urbanistica del paese.
La popolazione, che nei secoli precedenti aveva visto il numero degli abitanti oscillare fra i 200 e i 300, iniziò, a partire dalla fine del Settecento, un continuo processo di crescita, fino a raggiungere, negli ultimi anni dell’Ottocento il migliaio di persone. Con il progressivo insediamento nei territori limitrofi degli insediamenti industriali si raggiunsero e superarono poi alla fine della Prima Guerra Mondiale i 3000 abitanti. Il territorio del comune di Villapizzone aveva il suo limite settentrionale poco oltre l’attuale incrocio tra Via Varesina e Via Palizzi, ricomprendendo al suo interno vaste zone di campagna, al cui interno si troverebbero oggi gli edifici di Via Porretta e di Via Chiasserini, fino al tracciato delle Ferrovie Nord.
Sul lato orientale i confini del comune andavano a racchiudere l’area su cui si insediò nei primi anni del Novecento il complesso delle Officine del Gas, oggi spesso citata come La Goccia, spingendosi fino a raggiungere il limite meridionale all’altezza dell’odierno Istituto Mario Negri. Sempre a Sud il confine correva poi lungo le attuali Via Ercolano, Via Campo dei Fiori, lato settentrionale di Piazza Prealpi, Via Michelino da Besozzo fino all’incrocio con Via Varesina. Questa importante arteria stradale (anticamente Strada Elvetica) costituiva in massima parte il confine occidentale del comune, con l’eccezione in estensione di alcuni tratti limitati, come la zona compresa tra Via Casella e Via Mola e quella in corrispondenza dell’incrocio con Via Airaghi.
Questo territorio, similmente a quello degli altri borghi vicini, era costituito da terreni di grande fertilità, perfettamente irrigati da una estesa rete di fontanili che garantivano una notevole produzione agricola. Fra questi fontanili particolare importanza rivestivano Il Nirone e la Rigosella le cui acque, in epoca ducale, dopo la confluenza in un unico alveo, raggiungevano il fossato del Castello Sforzesco, garantendone l’approvvigionamento. La loro importanza era tale che la testa di entrambi i fontanili, quella del Nirone ubicata nel territorio posto fra Baranzate e Roserio, quella della Rigosella posta in fondo all’attuale Via Fusinato poco oltre il tracciato ferroviario e la stazione, risultava essere contornata da un muro di cotto con le insegne della famiglia ducale, proprio per rimarcarne la proprietà. Gli altri corsi d’acqua che attraversavano il territorio di Villapizzone erano i fontanili Cagadenari, Marianella, Marchin, Testa dell’Archèt e il torrente Mussa, tutti ovviamente oggi scomparsi.
Il borgo ebbe sicuramente nei secoli passati autonomia amministrativa, perlomeno a giudicare dai documenti disponibili, da cui si evince, ad esempio, la presenza di consoli comunali già nel 1536. Durante il Settecento questa autonomia amministrativa venne mantenuta fino a raggiungere il 1808 quando, in epoca napoleonica, il Comune di Villapizzone venne soppresso e incluso nel Circondario Esterno del Comune di Milano. Dal 1816 il borgo riprese la propria autonomia amministrativa che terminò nel 1869 quando divenne frazione del Comune di Musocco, nel quadro di un’operazione di accorpamento di vari comuni del circondario (oltre ai citati quelli di Cassina Triulza, Roserio, Boldinasco e Garegnano)di cui seguì le vicende amministrative fino al fatidico 1923, anno di aggregazione al Comune di Milano.
Bibliografia
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Le foto fanno parte dell’Archivio storico Biblioteca Villapizzone.