SOMMARIO Una delle più note stazioni del metrò è stata anche uno dei comuni più antichi della Grande Milano: il primo documento è del 776, ma probabilmente l’abitato risale a epoche molto più vecchie. Il QT8, buona parte delle strutture ippiche e della montagnetta Il QT8, buona parte delle strutture ippiche e della montagnetta detta (erroneamente) di San Siro, ricadono tutti nel suo territorio, dove si ergevano diversi monasteri, tra cui uno che ospitava i canonici del Duomo in estate. E in effetti, la traccia più importante è l’oratorio dedicato, guarda caso, a Santa Maria Nascente (come il Duomo), e contiene tre capolavori d’arte
di Paolo Gugliada
sulla base delle ricerche di Gabriele Pagani
Uno dei più antichi Comuni della zona ovest del territorio di Milano, Lampugnano sorgeva proprio sul canale della Vepra dell’Olona, nell’area tra le attuali vie Osma e Trenno. Questa specificità ne fece probabilmente un luogo di commerci e di notevole sviluppo economico. Per la prima volta il nome Lampugnano viene citato nel 776, la pergamena che lo menziona è, in assoluto, uno dei documenti privati più preziosi e antichi finora conosciuti.
In questo testo viene formalizzata una commudatio di un certo Flaviano: “Flaviano del fu Agnone dà in permuta a Forte Diacono la sua parte e quella del fratello Leto, chierico consenziente, nel campo che possiedono a Lampugnano, con clausola di poter ricostruire un mulino sul Vepra, e riceve una piccola terra di pertinenza della cella di S. Ambrogio, presso la colonna Orfana”. La sua rilevanza è confermata indirettamente in una pergamena del 864 dove, in un tribunale presieduto dal conte di Milano Alberico, figura tra i componenti Odelberto de Lampuniano . Egli era un personaggio molto ragguardevole, poiché si trova: “ ne’ seguenti anni avvocato del monistero di sant’Ambrogio; ed alla carica di avvocato de’ monisteri insigni non si sceglievano che soggetti illustri e potenti”.
La località è citata ripetutamente nei documenti prima e dopo il Mille accreditando la convinzione che dovesse essere punto nevralgico degli scambi del mondo antico.
Di Lampugnano non rimane nulla, solo il toponimo si è salvato, attribuito a una via e a una fermata metropolitana, oltre a qualche edificio ottocentesco e l’oratorio del XVII secolo in via Osma. Lo stesso toponimo però alimenta qualche interrogativo e alcune congetture, se nei documenti antichi figura sempre Lampuniano e, per corruzione termini simili, nella prima cartografia che disponiamo è citato sorprendentemente: l’impugnanello con l’apostrofo. In seguito compaiono varie terminologie (Limpugnanello ecc.) e nei tempi più vicini a noi il toponimo diventa Lampugnanello, sia nella parlata che negli scritti. Bisogna però osservare che, essendo collocato vicino all’Olona e alla testa di un fontanile, se si prende per buona l’ipotesi che, anticamente, gli insediamenti sorgevano presso i corsi d’acqua, si deve pensare che questo fosse il nucleo originale per cui, essendo distante alcune centinaia di metri dal sito originario, si è portati a pensare che Lampugnano sia sorto in un secondo tempo riprendendo il più antico toponimo.
Comune con un console fino al 1808
Lampugnano fu Comune autonomo e sovrano fin dal 1276, anno in cui il podestà di Milano lo esortò a pagare i debiti presso l’ufficio del Console della Terra, trascrivendo l’ordinanza negli “Atti del Comune di Milano”, questo documento conferma così, anche se indirettamente, che questa località aveva già un suo ordinamento comunale. Nei secoli successivi Lampugnano godette sempre della sua autonomia amministrativa, che veniva garantita – come viene evidenziato da un accertamento fiscale dell’Austria del 1751- da un console, un cancelliere e un esattore; per gli aspetti giurisdizionali faceva capo al podestà di Milano e alla relativa banca criminale. Il Comune di Lampugnano risultava abbastanza popoloso: nel 1771 secondo la statistica delle anime contava 245 abitanti. Nel 1808, con il Decreto di formazione del Circondario esterno di Milano il Comune di Lampugnano è soppresso.
Passata la bufera napoleonica, nel 1816, nell’ambito del compartimento territoriale delle province lombarde del regno Lombardo Veneto, il Comune di Lampugnano fu ricostituito, ma nuovamente soppresso nel 1842 e aggregato definitivamente al Comune di Trenno.
Istituzioni ecclesiastiche
Per moltissimi secoli la presenza monacale femminile a Lampugnano è documentata e richiamata in numerosi documenti. E’ presumibile che si siano succeduti più di un ordine. Oltre al monastero ivi presente di S. Maria (cfr. sotto) altre istituzioni religiose ebbero proprietà in loco. Soprattutto il monastero di S. Maria et Ulderico, dell’ordine dei benedettini: al Bochetto (o Bocchetto) di Milano ebbe appezzamenti di terre a Lampugnano ed edifici di natura conventuale, i cui resti erano visibili fino ad alcuni decenni fa prima che fossero spianati per far posto ai nuovi insediamenti. Difficile dire se fossero dipendenze a uso monacale o agricolo o anche piccole grange.
In un documento vengono specificate le proprietà del monastero: “ Possiedono le R.R. M.M. di S.ta Maria et Ulderico al Bochetto di Milano due pezzi di terra sotto il Comune di Lampugnano, Pieve di Trenno, quali restano descritti nell’Archivio del Ducato in testa del Monastero di S.t Giacomo, è stato unito con tutte le sue raggioni e pertinenze al detto Monastero Bochetto l’anno 1543 come dal unione seguita il d.to (detto) anno 1534; che s’esibisce segnatamente, onde le dette M.M. Oratrici suplicano la detta Ecelsa e Real Gionta degnarsi ordinare che si facci l’annotazione a’ libri per che detti beni godano della loro immunità de carichi come gli Ecclesistici antichi, e sperano.”
Il Santuario attuale della beata Vergine Maria di Lampugnano fu costruito attorno al 1605. Molte sono le testimonianze archeologiche che parlano di un passato ben più antico del 1605, l’anno della visita del cardinale Federico Borromeo, ritenuta ufficialmente la data della sua costruzione.
Il QT8
Con il sorgere del quartiere QT8, che gravitava nel terreno già di Lampugnano, detto Santuario risultava essere troppo piccolo e decentrato, per cui si pensò a una chiesa più grande, in area via Terzaghi e, nel 1947, fu indetto un concorso vinto dagli architetti Mario Tedeschi e Vico Magistretti. A questa istituzione religiosa la Regione Lombardia ha dedicato uno studio che ne racconta la storia: “La chiesa di Santa Maria Nascente in località Lampugnano, già delegazione arcivescovile dal 1930, fu eretta in parrocchiale con decreto 20 agosto 1938 dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, con territorio smembrato da Trenno (vedi i particolari QUI).” Dopo la revisione della struttura della diocesi del 1971, la parrocchia è stata attribuita al decanato di S. Siro zona pastorale I di Milano città. Il progetto della nuova chiesa fu realizzato negli anni 1954-55, con una forma circolare simile ad un’antica tenda ebraica che rimanda al Vangelo: “…il Verbo si è fatto carne e posò la sua tenda in mezzo a noi.” La nuova chiesa fu subito riconosciuta parrocchia, con il Santuario della Beata Vergine Maria (alle sue dipendenze), che tornò oratorium, “luogo di preghiera”, come fu originariamente. Una targa all’interno della nuova chiesa ricorda le tappe realizzative: “Questo tempio dedicato a S. Maria Nascente, voluto da S.E. il Cardinale Ildefonso Schuster che il 14 febbraio 1954 ne pose la prima pietra, aperto al culto e benedetto il 5 giugno 1955 da S.E. monsignor Giovanni Battista Montini (Paolo VI) è stato solennemente consacrato il 31 maggio 1980 da S.E. monsignor Carlo Maria Martini.
L’antichissimo monastero A Lampugnano esistevano una chiesa e un monastero femminile di cui resta una scarsa documentazione. In uno di questi documenti, datato 1191, si ha una descrizione dettagliata di un’operazione di compravendita. Infatti nel Breve recordationis et consignationis terrarum, del sei settembre, Pietro detto Aderardus, Pietro detto de Arco e Ottone detto de Verderio, tutti di Lampugnano, e Pietro de Muso, anch’egli di quel luogo ma ora abitante a Salvano, descrivono sotto giuramento a Oprando, prete della chiesa di S.Andrea alla Pusterla Nuova, procuratore della badessa del monastero di S .Maria di Lampugnano, 24 di terreno siti in quel luogo, dettagliatamente elencati e descritti, per complessivi 26 iugeri, 11 pertiche e 5 tavole (72.825 mq in totale), di proprietà di quella chiesa e monastero. L’antico documento è di notevole interesse perché, oltre ad attestare il monastero e la chiesa dedicata a S. Maria, richiama toponimi (in particolare l’Orone, ossia l’Olona) e insediamenti (mulini, borgo, ecc.) come si può rilevare nella trascrizione di questo stralcio relativo ai primi appezzamenti di terra:
a
“…Anno dominice incarnacionis milleximo centeximo nonageximo primo,sesto die mensis septenbris, indicione decima. Brevis recordationis ad futuram |memoriam retinedam rerum territoriarum quas habet et detinet ecclesiam et monasterium Sancte Marie de Lampugniano in loco et fondo|de Lampugniano et in eius territorio et que consignate sunt per sacramentum dominio Oprando, presbitero ecclesie Sancti Andree de Pusterla Nova|de civitate Mediolani,misso et procuratore abatisse suprascripti monasterii, ad partem et utilitatem suprascrpti monasterii, per Petrum qui dicitur Aderardus et per Petrum|qui dicitur de Arco et per Ottonem qui dicitur de Verderio, omnes de suprascripto loco sed modo habitat in loco Salvano, qui coacti fuerunt a consulibus Mediolani predictas res se consignaturos iurare. In primis braidam unam in qua ipsum mo|nasterium est positus, a mane Sancti Ambrosii, a meridie via, a sero via nova, a monte flumen Orone, et est cum fossato quod est a mane zozias novem et|perticam una et mediam; secunda petia est campum et dicitur a Burgo, a mane Vestidi, a meridie via, a monte Sancti Ambrosii, et est pertice decem et tabule quatuordecim;| item petiam unam prati et dicitur ad Pratum de Molino,a mane via, a meridie suprascripti monasterii, a sero Rugerii de Modoetia, a monte via, et est pertice|viginti et sex et media; item petiam unam terre et dicitur ad Burgum, a mane et a monte via, a sero Sancti Ambrosii, et est pertice duodecim; item petiam unam zerbi,|a mane suprascripti monasterii, a meridie flumen Orone, a sero et a monte via, et est pertice sex et media; item petiam unam campi ibi prope, a mane Salvi de Porta Zobia,|a meridie flumen Orone, a sero suprascripti monasterii.”
Qualche decennio più tardi il monastero di Lampugnano fu oggetto di una disposizione dell’arcivescovo di Milano citata dallo storico Giulini: “…oltre il monistero di Sant’Apollinare, già era stato beneficato dal nuovo arcivescovo alcuni giorni prima, cioè ai 14 di maggio (1231 n.d.a.) il monistero delle monache di Santa Maria di Lampugnano, al quale egli avea conceduto la decima di tutti i loro terreni nuovamente lavorati, che apparteneva all’arcivescovato.” La carta è nell’archivio ambrosiano.
Unione di monasteri
Le proprietà di terreni da parte di monasteri, a Lampugnano si sono succedute nel corso dei secoli. Nel 1534 si ha traccia di una unione tra enti religiosi con pertinenze nella località e interessante il monastero detto del Bochetto (S. Maria et Ulderico) di Milano, di monache oratrici, presenti anch’esse a Lampugnano con estese proprietà e di cui abbiamo una copiosa documentazione. In un documento del 1752, redatto da S. Maria et Ulderico Monastero di Monache in Milano per le esenzioni di beni posseduti in pieno dominio si richiama a L’unione del Monastero de SS.Giacopo e Filippo alle altre volte fuori di Porta Comasca e soggetto ai Certosini si prova con lett.a Arcivescovile del dì 3 dicembre 1533 (…) Possiedono le R.R.M.M. di S.ta Maria et Ulderico al Bochetto di Milano due pezzi di terra sotto il Comune di Lampugnano, pieve di Trenno, quali restano descritti nell’archivio del Ducato in testa del Monastero di St.Giacomo. Il detto Monastero è stato unito con tutte le sue ragioni e pertinenze al detto Monastero Bochetto l’anno 1534 (129).
Le opere d’arte di Santa Maria Nascente in Lampugnano
Testo a cura di Roberto Schena
L’oratorio si presenta con linee molto semplici e quasi del tutto spoglie di ornamenti, in perfetto stile borromaico. La chiesetta di Lampugnano è poco più di una capanna con un campanile modesto. La sua data di nascita, infatti si colloca fra il 1590 e il 1603 assorbendo integralmente il clima culturale controriformista inaugurato nell’ultima parte del Cinquecento. Un oratorio “minimo”, non manierista, non barocco, interessante proprio per questo. La sua costruzione fu voluta per fornire un luogo alla celebrazione della messa da parte dei canonici del Duomo durante i periodi di villeggiatura e riposo presso questo borgo popolato da monasteri. E’ la ragione per cui è dedicato a S. M. Nascente, come lo stesso Duomo. Il 31 ottobre 1605 il card. Federico Borromeo compì una delle sue numerosissime visite alle parrocchie della diocesi anche fra queste mura.
Chiesa piccola e sobria, dunque, ma non priva di pretese artistiche, tanto da farne uno degli oratori più preziosi della Grande Milano e in particolare della periferia milanese. Sull’altare troneggia una pala alta due metri e 60 per 1 metro e 85 raffigurante “La nascita della Vergine”, in riferimento alla dedicazione dell’oratorio. L’opera, in pieno stile barocco, è attribuita a Camillo Procaccini (1521-1629), uno degli artisti più insigni della città, che aveva già dipinto anche per il Duomo. Notevole la cornice della stessa epoca, giunge a comprendere l’altare. Il dipinto mostra un Gioacchino e un’Anna, il padre e la madre di Maria, almeno secondo la tradizione tramandata dal Protovangelo di Giacomo (uno dei tanti apocrifi), ancora molto giovani. Essi sono insieme un’ancella mentre versa l’acqua nel mastello per il lavaggio della neonata, come nella tradizione pittorica. La differenza rispetto a quest’ultima è che Sant’Anna non è coricata sfinita su un letto, ma comodamente seduta mentre applica il lavaggio. Tutt’intorno un ampio movimento di angeli e santi quasi confusi con le persone reali. Ottimo lavoro d’artista.
Molto graziosa “La Madonna del Cardellino”, sempre secolo XVI , con il piccolo Gesù che ha in mano un cardellino, in braccio a una madre dal viso incredibilmente dolce ed espressivo. Si tratta di un olio su tavola accolta in un’altra elegante ancona rinascimentale, sulla quale spicca una lunetta dove è dipinto Dio padre mentre osserva la scena. Opera meritevole di anonimo.
Il piatto forte arriva con un affresco attribuito alla scuola di Luini, allievo di Leonardo. Rappresenta una “Adorazione dei Magi” dove si nota “una distribuzione dello spazio che dà l’illusione di continuare oltre il dipinto, ottenuta con una sapiente tecnica, resa con lo snodarsi del corteo che va ad adorare Gesù Bambino”, spiegano ben costruite note parrocchiali (che potete leggere integrali QUI). Niente più grotta o capanna, anche questo un netto segno della revisione borromaica poco incline alla religiosità popolare, ma il gusto è ancora tipicamente rinascimentale, ossia “retrò” per quei tempi. Gesù bambino “è a contatto diretto con la natura, segno che accentua e attualizza l’umanizzazione del Figlio di Dio; la Madre è raffigurata come colei che porge il Bambino. Ai piedi di Gesù i tre re manifestano negli abiti e nel volto la diversità delle razze e rappresentano l’intera umanità salvata da quella nascita prodigiosa. Il corteo con cavalli, cani e cavalieri rispecchiano l’idea della corte e della regalità di coloro che stanno adorando il Bambino”.
L’affresco è particolarmente curioso anche perché offre notevoli analogie col dipinto leonardesco dei Re Magi, da cui si evince l’influenza della scuola luinesca.
Il battistero è ancora quello originale del secolo XVI, un unico blocco di marmo rosa lavorato a mano. Un arco di trionfo unisce la navata al presbiterio con il soffitto a vela, dove sono affrescati i quattro evangelisti. L’arco è sostenuto da pilastri nascosti; dal centro pende un crocifisso in legno scolpito di epoca secentesca; una trave lignea traversale che congiunge gli estremi dell’arco porta la scritta in caratteri d’oro: “Mors mea, vita tua”.
Fra il 1990 – 1992 sono stati eseguiti restauri degli intonaci esterni, fra il 2012 – 2015 è stato restaurato l’intero bene con un intervento complessivo delle superfici interne della chiesa e una manutenzione degli intonaci esterni a cura dell’arch. Sironi e dell’impresa di restauro Formica.