Nello scorso articolo abbiamo percorso la strada Vigentina fino a Cascina Pozzuolo, al margine dell’odierno centro abitato; ci inoltriamo allora in quella che, oggi come nel 1865, è aperta campagna punteggiata da borghi e cascine all’interno del Vigentino.

Sulla nostra destra, allora come oggi, si diparte la strada per Selvanesco: il toponimo fa chiaramente riferimento ad un bosco; il borgo si presenta agricolo, circondato da campi coltivati e ricco di cascine, tra cui la Gaggioli, strutturata come una cascina a corte quadrata, tipicamente lombarda, il cui terreno si estende per circa 44 ettari. L’impianto originario del borgo risale probabilmente al medioevo in quanto già nel 1200 tutta quest’area era di proprietà dei Torriani; di grande interesse artistico è la cosiddetta Abbazia di Selvanesco, inserita nell’omonima azienda agricola, che forse era in origine un fortilizio (la sua posizione leggermente elevata e la roggia che la circonda suggerirebbero questa ipotesi): essa fu costruita nel 1588 per volere di padre Matteo Rivolta, procuratore dei certosini proprietari della tenuta; la casa padronale (forse secentesca) reca un’impronta vistosamente neogotica risalente all’Ottocento. Integra è invece la Cappella, la cosiddetta Abbazia di Selvanesco: in essa si trovano, in parte ancora coperti da calce, significativi capolavori di maestri dell’arte lombarda (Martino Bassi, Tolomeo Rinaldi, Giovan Battista Della Rovere, Gerolamo Ciocca).

Ritornati sulla strada Vigentina, costeggiata in questo tratto dal cavo Rile (a ovest) e dal cavo Bolagnos (a est) procediamo verso sud fino ad incontrare un borgo agricolo sulla via e una diramazione a sinistra. Siamo a Brandezzate (di sopra e di sotto), recentemente recuperato: la datazione è certa (marzo 1397 – febbraio 1404) e i documenti riportano che qui si trovava una locanda con taberna, di proprietà della Certosa di Pavia. Sulla sinistra parte una stradina che, come ci indica il nome, conduce a Macconago, antico comune autonomo: il borgo viene citato già nel XIII secolo con il nome attuale, che forse deriva da un antico proprietario, un certo Maccone. Macconago è diviso a sua volta in due parti: Macconago Piccolo (la prima parte, rurale) e Macconago Grande (la seconda parte, artistica).
Ci inoltriamo, oggi come ieri, tra le cascine che fino a pochi decenni fa erano attive (una ospita un ristorante e in un’altra c’è un centro ippico funzionante) e giungiamo al più antico castello di Milano. Il castello di Macconago, infatti, risale agli anni 1330-1340 e fu edificato dalla famiglia Pusterla (come attesta uno stemma); All’interno del castello, le numerose sale (Pusterla, Duca, Cavalieri e così via) ospitano suppellettili d’epoca e un paio di sontuosi camini cinquecenteschi, mentre molto suggestivi sono i sotterranei, con sale dotate di volte a crociera ed altre dotate di volte a botte; pare infine che, in passato, un passaggio sotterraneo collegasse il castello all’Abbazia di Chiaravalle.

Non deve poi passare inosservata la chiesetta, apparentemente spoglia e anche un po’ degradata, ma in via di recupero, di San Carlo (attuale dedicazione della chiesetta originariamente dedicata a San Paolo) con la sua semplice eppur armonica facciata, decorata solo da un timpano triangolare sopra l’ingresso, a sua volta affiancato da due nicchie; all’interno si trovavano una balaustra barocca di marmo e una pala settecentesca; ma ciò che più conta è che questa chiesa è stata la prima (e forse l’unica rimasta) a rispettare pienamente le “Instructiones” in materia d’arte imposte da San Carlo Borromeo nell’ambito della controriforma. Alla fine del borgo, svoltando a sinistra saremmo arrivati al cimitero locale (il tratturo esiste tuttora).
Ritornati sulla Vigentina, si può proseguire verso sud fino a incontrare un bivio che, sulla destra, conduce a Quintosole, già comune autonomo, posto a 5 miglia dal centro di Milano (e quindi nome di attribuzione romana): questo toponimo viene per la prima volta citato nel 1346.

La parte artistica del borgo si trova al fondo della strada, che si trasforma poi in un tratturo che conduce fino a Ronchetto delle Rane. Noi ci soffermiamo qui a visitare la parte centrale del borgo, che vanta tre edifici di rilievo. Andando verso la campagna, sulla sinistra un ampio cascinale (Casa Confalonieri) si fa notare per la torretta sulla facciata, su cui spicca uno scudo araldico in marmo bianco che ne attesta la proprietà originaria; di fronte, si trova la vecchia chiesa, dedicata alla Vergine Assunta, costruita nel XVII secolo (ma il campanile è del 1925); infine, poco più avanti, sulla destra, in condizioni sempre più precarie, si trova l’ultimo casino di caccia quattrocentesco presente sul territorio di Milano, con fineste ogivali (in parte rifatte) e una cornice di cotto alla sommità. Al cimitero del borgo invece si arrivava svoltando a sinistra prima dell’ingresso nel borgo (odierna via Camporgnago) e dirigendosi verso sud fino al piazzale antistante il carcere di Opera , ove si trovava il camposanto.
Tornati sulla Vigentina, oggi come ieri andando verso sud troveremmo Cascina Guinzana (sulla sinistra) e Noverasco (sulla destra), borgo che confina con il Comune di Opera, il che conclude il nostro percorso.
Testo e foto di Riccardo Tammaro, di Fondazione Milano Policroma e ABM, Associazione Antichi Borghi Milanesi
