In occasione del centenario della marcia su Roma, Istituto Nazionale Ferruccio Parri e Fondazione Anna Kuliscioff, in collaborazione con Comune di Milano – Cultura e nell’ambito del palinsesto “Milano è Memoria”, hanno promosso a Casa della Memoria una mostra per riscoprire le vicende e il pensiero di Angelo Filippetti.
Un’occasione per mostrare una fonte nuova e inedita: il suo ricchissimo archivio privato, che i familiari hanno deciso di donare all’Istituto Parri e che è stato riordinato grazie a un contributo di Fondazione Aem-Gruppo A2A.
Il 3 agosto del 1922 le squadre fasciste e nazionaliste occupavano Palazzo Marino, estromettendo di fatto dal suo incarico Angelo Filippetti, l’ultimo sindaco democraticamente eletto a Milano prima che l’ombra della dittatura calasse sul Paese. Medico ed esponente di primo piano del socialismo milanese di inizio Novecento, Filippetti fu un amministratore progressista ma anche un dotto esperantista, un instancabile viaggiatore e un appassionato fotografo: una figura poliedrica e per certi versi sorprendente, capace di coniugare l’impegno nelle istituzioni milanesi con il camice di medico indossato nelle corsie dell’Ospedale Maggiore. Un sindaco oggi per lo più dimenticato dai suoi concittadini. Eppure, la sua concezione dell’amministrazione pubblica conserva ancora un carattere davvero visionario.
Fondatore e primo presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Milano, nel novembre 1920 venne eletto sindaco. Nei due anni da amministratore, si impegnò per garantire migliori condizioni di vita e sanitarie ai ceti più poveri della città, immaginando soluzioni moderne e innovative per risolvere numerose questioni sociali: abitazioni popolari, trasporto pubblico, raccolta differenziata dei rifiuti, salute pubblica.
«Organo naturale del proletariato contro lo Stato borghese»: così Filippetti intendeva il Comune. Un’aperta sfida alla conservatrice borghesia cittadina, che fu raccolta dal Corriere della Sera di Luigi Albertini e dal prefetto Alfredo Lusignoli. La tensione fra i due schieramenti culminò nei fatti del 3 agosto 1922, quando le squadre fasciste occuparono il municipio con il benestare del prefetto, ottenendo la decadenza della giunta. Una vera e propria prova generale di quanto sarebbe avvenuto a Roma negli ultimi giorni di ottobre.
Dal suo archivio personale, che viene aperto al pubblico per la prima volta, emerge la straordinaria complessità della sua storia: una trama avvincente che i curatori hanno deciso di illustrare incrociando lo sguardo della ricerca storica – coordinata da Jacopo Perazzoli dell’Università degli studi di Bergamo – con un allestimento evocativo, affidato allo studio +fortuna di Paola Fortuna
Costretto a dimettersi il 3 agosto 1922 quando le squadre fasciste occuparono il municipio con il benestare del prefetto. Alla Casa della Memoria ricostruito il percorso politico di un visionario “fuori dal Comune”
Sfogliando i diari di Filippetti si incontrano curiose sagome nere: silhouette tracciate a mano che ritraggono la figlia Giulia, ricordo familiare della visita all’Esposizione Universale di Milano del 1906. Una suggestione che i curatori hanno colto per trarne il segno grafico con cui vengono presentati alcuni dei protagonisti di questa storia: le sagome nere accompagnano il visitatore lungo il percorso espositivo e vengono man mano delineate dalla narrazione storica. Entrando in Casa della Memoria, si viene guidati in uno spazio costruito intorno alla vita fuori dal comune di Angelo Filippetti, in cui le gigantografie estrapolate dal suo archivio definiscono lo spazio e lo estendono a un mondo passato, che molto ha da raccontare al nostro presente. La visionarietà di questo sindaco, spesso dimenticato, porta alla scelta di raccontarlo attraverso una grafica contemporanea, che lavora con documenti, fotografie e appunti a mano. Un collage di fonti che tenta di restituire la complessità e la bellezza di Angelo Filippetti, che ha avuto il coraggio di sognare una città futura.