SOMMARIO Il Casoretto (indispensabile l’articolo il), situato fra il Trotter e la stazione di Lambrate, l’ex Comune da cui dipendeva, è il caso di un borgo-abbazia, oggi situato in piena città preperiferica. Significa che il borgo, invece di crescere come di solito attorno a un castello, si era ingrandito attorno a un tempio. Il quale ultimo, pura espressione del Quattrocento, è colmo di opere d’arte di quando le abbazie godettetro del loro momento di gloria, prima che saltassero fuori gli ordini mendicanti francescani e domenicani
di Riccardo Tammaro
In questo testo ci occuperemo della chiesa sita in piazza San Materno, nel borgo denominato Casoretto. In particolare, in questa prima parte troverete nozioni relative alla sua dedicazione e alla sua storia, mentre nella seconda verrà esaminata la sua ricca dotazione artistica.
La denominazione corretta della chiesa è “Santa Maria Bianca della Misericordia – Abbazia di Casoretto”. Già da questi termini si può dedurre la sua importanza storica ed artistica. Iniziamo dal toponimo Casoretto: esso si riferisce a un modesto casale, citato già nel 1274.
In questo luogo, nel 1404, sorgeva una chiesetta nei possedimenti suburbani del nobile Pietro Tanzi, il quale, avendo provveduto al restauro dell’edificio, chiese al priore di Santa Maria della Frigionaia in Lucca l’invio di alcuni canonici lateranensi che vi officiassero le funzioni religiose.
Lo stesso Tanzi, con testamento dell’agosto 1405, lasciò tutti i suoi beni alla chiesetta, a condizione che questa dipendesse dalla Frigionaia e che vi alloggiassero stabilmente almeno sei canonici. Pare che tra i beni ci fosse anche una villa, prospiciente la chiesa, sostituita tra il 1928 e il 1930 dal deposito ATM di via Leoncavallo, ma la notizia non è del tutto certa. Il 27 agosto 1406 fu eletto il primo priore della congregazione dei Canonici Regolari di Casoretto e negli anni seguenti furono sistemate le abitazioni dei religiosi.
La costruzione della chiesa iniziò invece qualche decennio più tardi; si conservano infatti dei documenti riguardanti donazioni per la fabbrica della nuova chiesa risalenti all’anno 1472 e al triennio 1477-1479. L’edificio fu realizzato dai Solari; in particolare vi lavorò Guiniforte (1429-1481), il progettista di Santa Maria delle Grazie. Negli anni 1479-1480 si lavorò alla decorazione di alcune cappelle, mentre il campanile fu ultimato il 4 giugno 1490.
Torniamo ora alla sua denominazione: un ulteriore indizio sulla sua significatività viene dal titolo di Abbazia, attribuito nel 1566, dopo che la chiesa aveva conosciuto, in piena età sforzesca, il massimo splendore: alcune esenzioni fiscali e una serie di generosi lasciti consentirono, infatti, di costituirvi anche una cospicua biblioteca, e di mantenervi fino a una trentina di canonici, scelti in base a censo e cultura. Qui, nel Cinquecento, amava soggiornare anche San Carlo Borromeo.
Nel frattempo l’edificio era stato modificato, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, pare su disegni di Pellegrino Tibaldi.
Nel 1772, è più precisamente il 17 giugno di quell’anno, la soppressione della canonica avviò un periodo di degrado, durante il quale la chiesa divenne succursale di Turro, per poi diventare chiesa parrocchiale all’inizio del XX secolo. La facciata fu restaurata nel 1927 dall’architetto Ambrogio Annoni, che le restituì l’impianto quattrocentesco. Dopo vari lavori di riparazione, nel 1943 l’architetto Ugo Zanchetta realizzò il nuovo coretto a sinistra dell’altare maggiore, alterando così la planimetria dell’edificio; seguirono altri restauri negli anni 1958-1960.
Concludiamo con l’ultimo elemento da considerare nella denominazione: se la scelta di Santa Maria era legata alla donazione di Pietro Tanzi, la scelta della colorazione bianca era dovuta al fatto che nel medioevo, in quell’area intorno a Milano, vennero edificate tre chiese dedicate a Santa Maria, ognuna caratterizzata da un colore: oltre a quella di Casoretto, infatti, esistevano la chiesa di Santa Maria Nera, detta di Loreto (demolita), dalle parti dell’odierno piazzale omonimo, e l’abbazia di Crescenzago, intitolata a Santa Maria Rossa. La scelta del bianco pare legata al colore della veste della Vergine nell’affresco che la ritrae all’interno, e di cui, come degli altri soggetti artistici, parleremo tra poco.
Iniziamo dall’esterno: avvicinandosi alla chiesa si può notare che la facciata, in mattoni, è preceduta da un gradevole selciato in “rizzada” (1), che raffigura la “rosa dei venti”. Alla sua sinistra si trova il chiostro mentre sulla destra, leggermente arretrato, è visibile il campanile. Il chiostro, pur essendo stato costruito in epoca rinascimentale (risale al tardo Quattrocento), richiama stilisticamente il romanico, e, pur essendo incompleto, rappresenta senz’altro un importante momento artistico della nostra città. Adibito a cortile dell’oratorio, vi si usava conservare numerose lapidi, per lo più provenienti dalla chiesa.
Entrando, si nota che la chiesa è attualmente a tre navate. Essa era così originariamente, poi nel sedicesimo secolo Pellegrino Pellegrini (detto il Tibaldi) aveva trasformato le navate laterali in cappelle, rinforzando così la struttura della chiesa; aveva altresì trasformato il transetto e costruito il tiburio, e le crociere della navata maggiore erano state sostituite con una volta a botte. Un successivo restauro ha riportato la situazione delle navate a quella delle origini (senza ripristinare però quella delle volte).
Esaminiamo ora le opere d’arte iniziando dall’affresco, situato nella parte sinistra del transetto, che raffigura la “Vergine Bianca della Misericordia” di Casoretto (la sua veste bianca, come detto, diede la titolazione alla chiesa). Quest’opera è stata attribuita al Pisanello (allora molto giovane, essendo nato nel 1395). La grandezza di questo artista è testimoniata dalla presenza di sue opere in molti musei tra cui il Louvre di Parigi e il Paul Getty Museum di Los Angeles.
Un altro oggetto artistico di notevole valore è il trittico, opera di Giovanni Ambrogio Bevilacqua detto il Liberale (allievo del Bergognone), che si trova nel secondo arco a destra; esso raffigura la Resurrezione di Cristo, tra Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, e vi sono ritratti i coniugi Melzi, ivi sepolti.
In fondo alla navata centrale è collocato l’altar maggiore, impreziosito da un intarsio quattrocentesco di marmi, quali se ne possono vedere nella Certosa di Pavia; sullo sfondo, il solenne coro ligneo del Quattrocento. E sempre nel presbiterio, sormontato da un crocifisso rinascimentale, è visibile la “Gloria di Maria”, opera della scuola veneta del tardo cinquecento, sul cui sfondo è ritratta l’abbazia di Casoretto con la cuspide originale.
Di poco successivi sono i quadri, attribuiti al Cerano (“Sant’Agostino”, “Sant’Antonio” e la “Morte di San Sebastiano”, di un’originale forma ottagonale), e al Poussin (Adorazione dei Magi, nel battistero); la “Disputa dei dottori”, sul lato destro, è invece di scuola caravaggesca, mentre la “Natività di Maria”, a sinistra del presbiterio (ed anch’essa di forma ottagonale), è in stile quasi barocco, ed attribuita a Giulio Cesare Procaccini.
Sulla controfacciata, infine, si trovano due opere di Montalto da Treviglio, “Fuga in Egitto” e “Allegoria della Maternità”, anch’esse di forma ottagonale e simmetriche rispetto all’entrata; l’autore, il cui vero nome è Giovanni Stefano Danedi, nacque a Treviglio nel 1609 e morì a Milano nel 1690; lo stesso soprannome si estese invero anche al fratello Giuseppe, ingenerando così una certa confusione, poiché talvolta i fratelli lavorarono insieme sotto questo unico nome. Tra le tante opere del Montalto si possono ricordare gli affreschi di villa Frisiani Mereghetti a Corbetta e, tra le tele, la “Apparizione della Madonna” che si trova nel Santuario di Caravaggio.
Concludiamo citando le opere di arte moderna, presenti sul lato sinistro: un’urna di bronzo argentato dello scultore Alfeo Bedeschi; un trittico, in cui viene rappresentata Santa Rita tra San Tarcisio e Santa Agnese, di Camillo Dossena, artista attivo nel Comasco, dove le sue tele ornano numerose chiese; una tela, raffigurante il Sacro Cuore, dipinta da Fiorenzo Carpi de’ Resmini, ultima opera di questo artista milanese noto soprattutto per le sue realizzazioni musicali in campo cinematografico, dalla colonna sonora di “Incompreso”, a quella di “Marcellino pane e vino”.
(1) la rizzada è il selciato realizzato con pietre tonde levigate da un fiume, tipico della pavimentazione lombarda