SOMMARIO Macconago (area Vigentino) è un luogo speciale del circondario milanese. Primo perché il suo borgo è ancora intatto; secondo perché è l’unico degli oltre 70 borghi milanesi con un castello medievale autentico (più antico del Castello Sforzesco); terzo perché l’insieme di questo piccolo abitato è assolutamente godibile, sembra che il tempo qui si sia fermato; quarto perché offre scorci tra i più belli e interessanti che si possano vedere a Milano, dove non sembra nemmeno di esserci. Si tratta di un posto di straordinario interesse storico-architettonico, coniugato a un antico risultato dello sviluppo rurale locale
di Roberto Schena Michele (*)
Fotografie di Andra Cherchi ed Ettore Tamagnini
Macconago, da Maccone/i, nome di un antico proprietario, è il borgo per antonomasia, perché nato intorno a un castello di origini ducali. Nonostante il degrado di parte dell’abitato rurale, purtroppo a uno stadio avanzato, è un nucleo storico nel senso originario della parola, intesa come “luogo dotato di un castello”, giacché il maniero feudale c’è, anzi, ha una architettura piuttosto complessa ed è meravigliosamente intatta. Ed è perfino il più antico ancora presente nel territorio comunale di Milano, a fronte dei tanti qua e là abbattuti. Fu costruito dai Visconti fra il 1330 e il 1340; la struttura appare infatti tipicamente viscontea, con due torri di avvistamento, le merlature originali a coda di rondine, i camminamenti in cima. Fu poi affidato a un ramo della famiglia Pusterla, con cui i rapporti si conclusero poco dopo tragicamente. La storia merita di essere raccontata.
I Pusterla erano una famiglia milanese nobile, antichissima, annovera un arcivescovo vissuto nel IX secolo. Fu rovinata dal contrasto con Luchino Visconti (1287-1349), condottiero ghibellino (da qui le merlature a coda di rondine), co-signore di Milano insieme al fratello Giovanni dal 1339, che all’età di 54 anni, ossia all’incirca dopo o durante la costruzione del castello di Macconago, si invaghì della moglie di Franciscolo Pusterla, la cugina Margherita Visconti, cercando più volte di approfittarne. Franciscolo, per vendicarsi di tanta arroganza, organizzò una congiura (anno 1341) assieme ad altre famiglie nobili milanesi, tra cui gli Aliprandi. Scoperta la congiura, Luchino Visconti, che ritroveremo nella storia della vicina Morivione per un altro fatto di sangue, diede ulteriore prova di follia tirannica: prima ordinò d’imprigionare nel castello d’Invorio (Novara) la cugina, poi, arrestati il marito Franciscolo e i suoi quattro figli, la decapitazione dell’intera famiglia, amici più stretti compresi. Luchino fu ucciso a sua volta, otto anni dopo, per avvelenamento, dalla moglie Isabella Fieschi.
Le tragiche vicende della famiglia milanese ebbero un importante risvolto letterario, narrate da Cesare Cantù (1804-1895) nel romanzo Margherita Pusterla, uscito nel 1838, esattamente 5 secoli dopo e due anni prima dei Promessi Sposi. Lo sfondo storico-romantico del racconto presenta figure per certi versi speculari al testo manzoniano e resta una delle opere letterarie più importanti dell’Ottocento (consigliato il testo attualizzato dalla studiosa medievista Ada Grossi, pubblicato dalla Meravigli).
Poiché per il Castello Sforzesco l’anno di inizio lavori si colloca tra il 1360 e il 1370, il maniero di Macconago sarebbe più antico di 20 anni o 30. La differenza ambientale, dimensioni a parte, consiste nel fatto che il castello di Macconago è ancora dotato di un suo borgo, è sempre circondato da campi coltivati, qualche roggia e qualche boschetto. Le merlature del castello di Macconago sono di a coda di rondine, mentre quelle del Castello Sforzesco hanno la sommità squadrata. All’interno, sontuosi camini rinascimentali e suggestivi sotterranei. Il Castello Sforzesco ha perduto questa caratteristica dopo la costruzione di Foro Buonaparte in epoca neoclassica. A Macconago tutto è più o meno come secoli fa.
Macconago è sempre stato borgo di una certa consistenza, tanto da costituire comune per conto suo fino al 1841, quando fu prima aggregato al vicino comune di Quintosole, indi ambedue aggregati a Vigentino nel 1869.
Come nasce un borgo
Borgo proviene dal latino burgus con il significato di “castello fortificato”, termine già usato nel IV secolo nei manuali di arte militare. Solitamente sorgeva alla confluenza di valli, fiumi, strade. Assunse in seguito dal germanico burgs il valore più ampio e generale di “centro abitato” dotato di fortificazione, castello, residenza signorile, sede amministrativa. I due termini deriverebbero a loro volta dal greco πύργος, pýrgos, riferito sempre a “torre”, “fortezza”. Tutti proverrebbero all’indoeuropeo bhergh, la cui radice rimanda a “nascondere, proteggere, conservare”.
Macconago corrisponde esattamente a tali requisiti.
I borghi erano dunque centri importanti, spesso parte di una rete di collegamento tra loro e le città più grandi, nati in genere attorno a un castello, sotto il quale si teneva un mercato, caratteristiche peculiari che li distinguono da un villaggio, un paese o una borgata. Nei secoli, i borghi subirono sviluppi diversi divenendo piccoli centri abitati da cui emergevano edifici d’epoca varia, chiese e monumenti di maggiore o minore pregio artistico ma sempre di un certo valore storico e culturale. Nel circondario di Milano sono parecchi i castelli-cascine, detti cascine castellate, magari dotate un tempo di torri di avvistamento (purtroppo quasi tutte perdute); oppure erano casali dotati di una piccola guarnigione militare con funzioni di controllo territoriale di polizia e riscossione dazi: esattamente la storia medievale di Macconago e, si vedrà in altra pagina, del non lontano Ronchetto sul Naviglio.
Il castello, interamente restaurato di recente, oggi è di proprietà della famiglia Ferrario Gavana ed è utilizzato per cerimonie, ricevimenti e altro. La parte più vecchia del Borgo Piccolo fu sistemata qualche anno fa dal proprietario di allora, un marchese che aveva ereditato la proprietà salvandola dalla rovina. Voleva farne una sorta di agriturismo o di Bed&Breakfast particolare, ma in seguito al suo decesso il progetto non è andato in porto. Un’altra sezione antica di Borgo Piccolo è tenuta in piedi da un ristorante. In una delle cascine in buone condizioni si svolgono corsi d’equitazione. Il resto è in totale decadenza, compresa la casa padronale.
Il futuro e le problematiche
La proprietà della aree è stata per lungo tempo in mano a Salvatore Ligresti. Il costruttore siciliano, che così tanti affari edilizi ha concluso a Milano, pur possedendo tanta parte della città rurale non ha mai tenuto minimamente in considerazione la storia e la bellezza dei posti che aveva comprato. I contadini che vi abitavano si sono spesso allontanati; le abitazioni, di Macconago come di altre comunità rurali, sono state svuotate e lasciate in balia delle intemperie. In pochi anni, grazie all’incuria, queste ultime sono in grado di provocare il crollo dei tetti e delle mura altrimenti destinati a rimanere in piedi per altri secoli.
Il problema è che i milanesi non se sanno nulla, né di Macconago, né di tante altre situazioni analoghe, a parte i pochi esperti e lasciano che tempo e cialtroni sbriciolino un vero, piccolo e al tempo stesso grandioso, patrimonio d’epoca. Se ciò succedesse, se Milano perdesse gioielli come Macconago, sarebbe una vera e propria iattura per il suo patrimonio storico/architettonico e identitario. Macconago è uno dei borghi secenteschi-medievali più belli e isolati della città, dotati di un sistema cascinale in parte ancora in uso e in buone condizioni, ma in buona parte in rovina.
Fino a qualche anno fa, il borgo era totalmente preservato dall’invasione prepotente dell’edilizia contemporanea. Negli anni ’90, sulle aree agricole poste a nord-est fu eretto il vasto complesso ospedaliero dello Ieo, Istituto Oncologico Europeo, a cui manca ancora un padiglione. Per quanto benemerita, le costruzioni non dialogano con il borgo, i progettisti l’hanno ignorato bellamente, ponendosi in urto con il contesto ambientale, una vera e propria offesa stilistica a un mondo di cultura, quasi dando per scontata l’abbattimento del borgo. Invece l’area è protetta dalla Soprintendenza alle Belle Arti come zona di interesse paesistico-monumentale, considerata di rilievo storico/artistico, quindi carica di vincoli sotto la tutela del MIBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo). Il castello, in mano a privati, è ben tenuto, ma il borgo versa in condizioni che richiedono un restauro urgente e adeguato.
Il progetto della Fondazione Del Vecchio
Di recente, dopo anni di abbandono rovinoso, la Fondazione Del Vecchio, proprietaria, ha presentato un progetto di recupero che presenta diversi aspetti critici, come si può notare dalle immagini qui sotto.
A sinistra lo stato attuale di degrado, a destra il progetto delle “case bianche” presentato dalla Fondazione Del Vecchio (Luxottica). Come si può notare, quest’ultimo manca di segnalare la presenza del castello. Sembrerebbe una dimenticanza, ma questa modalità evita di mostrare il contrasto di stile e colore sia con le preesistenze, sia con il castello stesso. Inoltre, si nota l’aggiunta di un fronte abitativo (cerchiato in rosso) precedentemente assente. Lo scopo è aumentare le volumetrie, ottenuto chiudendo il “canocchiale”, il colpo d’occhio panoramico-paesistico verso il castello, monumento nazionale. Cerchiato in giallo il notevole aumento di volumetrie già concesso al progetto, risalente alle prime stesure predisposte ai tempi di Ligresti, ex proprietario dell’area.
(*) Questo scritto è in buona parte tratto dai testi di due libri dell’Autore: “Milano, la città dei 70 borghi” e “Milano, il patrimonio dimenticato – borghi ducali, antiche cascine, arte, storie” volume I.