“Testimone di una vicenda unica”
Memoria storica vivente della Bovisa
1. Nasco nel 1942, nel Quartiere Iacp Stadera (allora XXVIII Ottobre), ubicato nella periferia sud e soprannominato Baia del Re: termine ripreso dalla Baia del Polo Nord, resa famosa nel 1928 dall’impresa del Maresciallo Nobile sul Dirigibile Italia. Due baie analogamente lontane e isolate, quella milanese anche nebbiosa. [I miei genitori vanno in bicicletta all’OM, Officine Meccaniche, dove lavorano.]
2. Mi laureo nel 1970 – lavoro anche, quindi tardo – nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Il mio relatore è Guido Canella, che: 1. mi assume nel suo Studio; 2. mi chiede di collaborare al suo Corso di Composizione architettonica [nei decenni successivi, per Concorso, sarei divenuto prima Professore Associato, poi Professore Ordinario; poi, dal 2015, pensionato]. In Studio lavoro fino al 1977, partecipando a progetti e redigendo libri. In particolare, seguo i lavori di Pieve Emanuele: sia dei quattro edifici che delimitano la Piazza del Quartiere Incis (scuole elementare e materna; piccolo centro commerciale; chiesa); sia del nuovo Municipio (credo di aver imparato molto dalle contraddizioni dei lavori per la Piazza). Poi, nel 1973, collaboro al progetto di massima di Canella sull’area Smeriglio di Bovisa, da poco dismessa. In quella parte di Milano, per la prima volta, si propone un nuovo polo didattico e di ricerca del Politecnico, contraddicendo radicalmente l’intento del Ministero della Pubblica istruzione, volto ad ubicare la nuova sede del Politecnico a Gorgonzola.
Dal ’77 all’85, svolgo la libera professione, negli anni in cui a Milano iniziano le dismissioni industriali. In risposta a tale processo, Achille Sacconi, Assessore all’Urbanistica, introduce una norma semplice (durata poco), vincolando le aree e i fabbricati abbandonati dalle industrie ad essere ancora destinati ad attività produttive. Alberto Bonardi – funzionario della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) – sollecita gli associati a dotarsi di sedi più efficienti e mi incarica di trasformare lo Stabilimento Lagomarsino di Viale Umbria in un insediamento artigiano.
PUBBLICAZIONI DI IERI
3. Nei Settanta, da sposati, troviamo casa in Piazzale Gambara. Inizio a guardarmi intorno, a fotografare la Zona, a frequentare la Sezione del Partito Comunista. Sono anni vivaci, ricchi di incontri e iniziative di base. Il Comune aveva suddiviso Milano in venti zone, che inizialmente funzionavano, captando attenzione e condivisione, anche dai corsi di progettazione della Facoltà di Architettura. Collaboro al giornale di Zona, “Il diciassette”, la cui direttrice, Marisa Deimichei, lavora anche alla ICI, casa editrice. A inizio Ottanta, l’Assessorato al Decentramento (presieduto da Carlo Cuomo, Capo ripartizione Emilio Samek Lodovici) incarica la ICI di predisporre una monografia per ciascuna delle venti zone. Programma, questo, voluto fortemente da Samek. Si pubblicano solo quattro volumi: MZ5 Ticinese Genova, 1982; MZ7 Bovisa Dergano, 1984; MZ10 Loreto Monza Padova, 1986; MZ2 Centro direzionale Greco Zara, 1987. Decisivo il coinvolgimento, per il progetto grafico, di Bruno Monguzzi. Ai primi due volumi collaboro, anche con scritti; poi, divenuto direttore della Collana, sono pienamente responsabile di MZ10 e MZ2. Grave pecca: i libri non sono distribuiti nelle librerie, vanno richiesti in Comune.
4. Da metà Settanta in poi, la Facoltà di Architettura è sperimentante; diversi corsi di Urbanistica e Composizione architettonica divengono laboratori applicati ai temi della Città, spesso individuati interloquendo con i consigli di Zona e/o i gruppi di base. I libri sono molto richiesti. MZ5 è rapidamente esaurito; gli altri tre sono di difficile reperibilità. I contenuti di MZ7 e MZ2 sono preziosi per la formulazione di ipotesi di intervento. Tanto che, su iniziativa di una cooperativa di studenti, a fine Novanta MZ2 e MZ7 vengono ristampati e distribuiti in libreria. Soddisfazione: i quattro libri sono tuttora disponibili nella Biblioteca della Facoltà, quindi sono ancora consultati da docenti e allievi.
PUBBLICAZIONE DI OGGI
5. In piena autonomia, nella primavera 2022 pubblico un quinto volume, Aura di Bovisa. Produzione Conoscenza Figurazione. Avendo, come pochi colleghi, seguito tutte le vicende di “Politecnico a Bovisa”, ritengo utile testimoniare una vicenda certamente unica, non solo a scala nazionale. Un capitolo tratta del perché e del percome il Politecnico si sia insediato a Bovisa, e non a Gorgonzola: inizia dalla proposta del 1973, ripercorre i vent’anni di proposte e dibattiti, termina con gli insediamenti attuati in questo Secolo.
6. Ma, a cosa rimandano i tre termini del titolo?
Produzione. Fino al 1880, il nome “Bovisa” identifica solo una Cascina, posta tra campi e campi. Qui va premesso che i trasporti si avvalgono dei cavalli fino alla Prima guerra mondiale, quando appaiono i primi autocarri. Quindi, negli Ottanta, l’ arrivo delle due ferrovie – ora Stato e Nord – facilitando tantissimo i trasporti, inducono gli insediamenti produttivi. Nasce così un polo industriale tra i più importanti in Italia. denominato Piccola Manchester, che sarebbe durato “quasi” un secolo.
Conoscenza. Dando un senso ampio al termine, tre esempi. Dirottando la localizzazione del nuovo polo del Politecnico da Gorgonzola a Bovisa, si è facilitato di molto l’accessibilità all’università, quindi la diffusione e incremento della conoscenza. Inoltre, altro esempio, storico. Diverse produzioni, per decenni, sono state uniche, non nella sola Italia, come: la Candiani, chimica, per decenni all’avanguardia nel Mondo; la Carlo Erba, con le sue ricerche e le sue innovazioni. Infine, terzo esempio, la Galleria del Vento di Bovisa, che ha caratteristiche uniche in Europa e rare nel Mondo.
La Figurazione si sviluppa in tanti ambiti. All’impegno degli architetti della Facoltà di Milano – siano docenti, siano allievi – si è già accennato.
Poi, ci sono i racconti, le vite autentiche, i drammi allestiti sul “palcoscenico” bovisasco, grazie: alla Resistenza in fabbrica; alle fabbriche che chiudono; alle autobiografie di Ermanno Olmi (lì ragazzo) e di Giuseppe Borra (prima operaio, poi istruttore); alle vicende narrate da Giovanni Testori, nei drammi e nei romanzi; alle visioni di John Hejduk, grande insegnante, grande architetto.
Infine, le immagini: di Ampelio Tettamanti che ritrae i lavoratori; di Ernesto Treccani che ritrae le fabbriche; di Jonathan Guaitamacchi che “smonta e rimonta” macchinari; di Gabriele Mucchi (maestro centenario) che vaga e divaga; e, finalmente, dei fotografi: Luigi Bussolati, Massimo Campi, Francesco Radino, Gianni e Laura Salvati, Stefano Topuntoli.
Finalmente, perché Aura nel titolo? Perché, pur avendo studiato per decenni Milano, non ho trovato altri luoghi cui sono stati dedicati altrettanti studi e altrettante espressioni della creatività, da intendere nel senso più ampio del termine.