SOMMARIO All’inizio del 1400, nel Vigentino sorse un piccolo borgo di monaci intellettuali. In breve tempo misero in piedi una biblioteca tra le più celebri d’Italia, diventando un importante centro umanistico. Il monastero, purtroppo, non c’è più, prima chiuso dalla Repubblica Cisalpina, poi abbattuto concretamente. Ne resta poco, che qui documentiamo: un rustico, un piccolo ponte sul Ticinello, una cappelletta, qualche lapide: comunque qualcosa che sarebbe civile proteggere e invece non è
di Giulia Gresti
e di Michele Addavide per la documentazione foto-storica
Gian Galeazzo Visconti, primo Duca della città di Milano, il 24 Giugno 1401 dona alla confraternita dei Gerolamini un luogo fortificato di sua proprietà situato in località Castellazzo, nome derivato dalla denominazione del loco Castellatijs, che si trovava appena fuori borgo Porta Ticinese: “prope, et extra burgum Portae Ticinensis Civitatis Mediolani” (Vedi All. 1). Il luogo si presentava circondato da una doppia cortina muraria, un fossato tutto intorno in cui scorrevano le acque della Vettabia e del Ticinello provenienti dalla Darsena, un ponte levatoio e, all’interno, un obitorio e molti altri edifici in muratura (“in fovea circumcirca murata intus et extra, cum cameris latis, colombario, ponte levatoio et multis aliis aedificiis, muratis, et cupatis (1)”. (All. 2 più sotto).
Il Duca, devoto a San Gerolamo, nell’atto di donazione inserisce anche la vicina chiesa di Santa Maria in Vigentino, di probabili origini carolingie, punto di aggregazione dei milanesi scampati al Barbarossa nel 1162 e riconosciuto luogo di devozione, e stabilisce che i monaci siano esentati da qualsiasi dazio o gabella. Mesi dopo con una seconda donazione, Il 7 Novembre del 1401, Giovanni Galeazzo Visconti amplia i beni del Monastero con i terreni agricoli che si articolavano intorno alle rogge del Ticinello e della Vettabia. Nell’atto di donazione appaiono alcuni toponimi ancora esistenti.
Quello stesso giorno il padre Giovanni Fernandez da Cordova viene nominato da papa Bonifacio IX abate del monastero e si obbliga a osservare gli statuti dei confratelli di Santa Maria di Toledo, di Santa Maria di Guadalupa e la regola di sant’Agostino che prevedeva, per abito, una tunica bianca con cocolla e scapolare grigi e che non dovessero essere più di 12 frati e 4 o 6 tra laici e conversi. Nel 1402 i frati sono già in piena attività nella comunità di Castellazzo e del Vigentino e danno inizio ai lavori per il rifacimento completo della Chiesa di Santa Maria in Vigentino.
Monaci intellettuali
A Castellazzo si costituisce così una struttura monastica di intellettuali severi nella vita semi eremitica ma aperti alle tesi dell’Umanesimo che, quarant’anni prima, Francesco Petrarca aveva introdotto nella vita culturale milanese accettando, dal 1353 al 1361, l’ospitalità prima di Giovanni Visconti arcivescovo e Signore della città e poi del suo successore, il nipote Galeazzo Visconti II, che lo scelse come precettore di suo figlio Gian Galeazzo, futuro duca di Milano. Nel febbraio 1425 il monastero di Castellazzo si stacca dalla casa madre spagnola e passa all’Osservanza “ditionis Italicae”, una modifica della regola di sant’Agostino, detta poi “di Lombardia” e riconosciuta da papa Martino V nel 1429. Diventa sede dei Capitoli Generali e rappresenta un polo dell’Osservanza di Lombardia per l’intera Europa.
Da quel momento il monastero, in un crescendo di beni e donazioni, che gli verranno elargiti fino a tutto il Settecento, diventa un’autorità spirituale sempre più presente nella comunità del Vigentino e di Castellazzo e ne regolamenta le festività e le ricorrenze religiose. L’ampia disponibilità economica di quel tempo è testimoniata anche da un documento inedito del 1469 in cui i padri gerolamini di Castellazzo chiedono ai confratelli di Ospedaletto lodigiano la restituzione del denaro che avevano loro prestato per pagare i lavori di ristrutturazione del monastero.
Per quasi tutto il Quattrocento il monastero di Castellazzo, fornito di una leggendaria biblioteca nota in tutta Europa, ebbe fama di cenobio culturale e svolse il ruolo di priorato sui monasteri dei confratelli gerolamini. La rete di rapporti intessuta dal Monastero dei Gerolamini con gli altri centri culturali fece sì che personalità di chiesa e di cultura vi soggiornassero a lungo per condurvi pienamente i loro studi e le loro ricerche. Tra questi anche Francesco Pizzolpasso, arcivescovo, politico, esperto giurista e umanista di chiara fama. Nominato arcivescovo di Milano nel 1439, a causa dei suoi numerosi impegni, poté rientrare in Lombardia solo nel 1440 ma, non potendo prendere possesso ufficiale della sua diocesi per l’ostilità del duca Filippo Maria Visconti che a quel tempo aveva aderito alla causa dell’antipapa Felice V e appoggiava il suo legato pontificio, il cardinale Gerardo Landriani, l’arcivescovo Pizzolpasso si fermò nel Monastero gerolamino dove, anche dopo la presa di possesso della Diocesi i Milano, preferiva dimorare piuttosto che nella sua casa presso San Sebastiano in Porta Ticinese e dove, nel 1441 trascorse 14 mesi in studi incrementando la già ricca biblioteca del monastero.
In quel tempo, per comunione di interessi culturali e spirituali, si legò al cardinale Branda Castiglioni per lavorare insieme a una riforma della Chiesa Ambrosiana e questo lo portò a scontrarsi duramente con la Chiesa milanese, ancorata alla tradizione e contraria alle tesi innovative dell’Umanesimo.
A Castellazzo l’Umanesimo inventa la città ideale
Particolarmente aspro, e documentato, fu il contrasto con il prevosto cardinalizio della cattedrale di Santa Tecla. Per tutto il Quattrocento il Monastero acquistò fama di centro di studi e di progettazione della “città ideale” secondo i canoni urbanistici e sociali della cultura umanistica con i quali il cardinale Branda Castiglioni aveva fatto realizzare Castiglione Olona, prima città ideale dell’Umanesimo sul cui esempio farà seguito la città ideale di Pienza realizzata da Leon Battista Alberti su incarico di papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Pizzolpasso fu amico di umanisti e bibliofili e, in particolare, del già citato arcivescovo Branda Castiglione e di papa Pio II, a cui, il 4 Febbraio 1443, indirizzò una lettera per comunicargli la morte del cardinale Branda. Appena dopo, donata al capitolo metropolitano la propria biblioteca sita al Castellazzo, muore, probabilmente nel febbraio stesso, a settantatre anni. Sin dalle sue origini l’Ordine dei Gerolamini si era dimostrato attento agli artisti dell’epoca ai quali commissionava le opere come per la copia del Cenacolo di Leonardo da Vinci commissionata a Marco da Oggiono (o, secondo ricerche recenti, a Giovanni Paolo Lomazzo o Andrea Solario) che fu conservata a lungo nel monastero e poi, in seguito alla soppressione dell’ordine, in Santa Maria delle Grazie dove andò distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Tra il 1447 e il 1450, durante la Repubblica di S. Ambrogio, il Monastero viene “saccomanato, disfatto e derroccato quasi in tutto” dalle truppe di Francesco Sforza, stanziate nelle vicinanze mentre assediano Milano, o forse dagli stessi cittadini milanesi usciti dalla città in cerca di cibo. Nel 1450 Francesco Sforza entra vittorioso in Milano. Nel 1466, dopo quasi un ventennio dalla distruzione del loro convento, i monaci di Castellazzo supplicano la sposa di Francesco Sforza, Bianca Maria Visconti Sforza (figlia dell’ultimo duca di Milano, Filippo Maria Visconti, figlio a sua volta di Giangaleazzo Visconti, il fondatore del monastero) di aiutarli economicamente come aveva fatto il nonno Giangaleazzo Visconti nel lontano 1401. Chiedono possedimenti che consentano loro una rendita di 1000 ducati l’anno e la duchessa esaudisce la richiesta.
Negli anni 1484 e 1489, Papa Sisto IV e Innocenzo III vogliono segnare una più attiva presenza dei Gerolamini nel cuore della città e affidano in custodia ai monaci di Castellazzo la chiesa dei S.S. Cosma e Damiano al Carrobio di Porta Nuova in Milano, un edificio piccolo e malandato, che figurava come titolare di parrocchia ed era in giuspatronato dell’antichissima e nobilissima famiglia Mandelli, ricca proprietaria terriera al Vigentino. Nel 1490 i Mandelli doneranno la chiesa ai Gerolamini per i motivi che l’11 Dicembre 1489 erano stati descritti nella Bolla papale di Innocenzo VIII.
L’età moderna
Nel 1642 i Gerolamini, su licenza dell’Arcivescovo Cesare Monti, affidarono i lavori del suo completo rifacimento e ampliamento all’architetto Francesco Maria Richini, tuttavia sono conservati progetti di Giovanni Ruggeri e di Carlo Antonio Maffezzone.
La facciata nuova non venne mai realizzata. Nel 1737 la chiesa dei S.S. Cosma e Damiano al Carrobio di Porta Nuova viene così ricordata dal sacerdote milanese Serviliano Lattuada: “ella era di una sola Nave con soffitta di legno in antica architettura” e “ Dinanzi a questa Chiesa v’ha una piazza assai vasta, in cui il Torri asserisce, che per l’addietro vi si faceva mercato, e veniva chiamato il Carrobio di Porta Nuova (2)” .
Cinquant’anni anni dopo, nel 1796, durante la Repubblica Cisalpina la chiesa fu sconsacrata e due anni dopo fu concessa alla “Società del Teatro Patriottico” che trasformò la chiesa nel “Teatro dei Patriottici” su progetto del grande architetto Luigi Canonica a sua volta realizzato su uno schizzo del Piermarini rielaborato dal Pollack e, successivamente, ribattezzato con il nome “Teatro dei Filodrammatici”, che è rimasto sino ad oggi, fu inaugurato ufficialmente nel 1800 e, per circa cent’anni, mantenne l’antica facciata della chiesa (All. 3 ).
Nel Cinquecento, continueranno le donazioni al convento e tra queste si citano anche le bocche d’origine del Ticinello e della Vettabia che costituiranno per il monastero di Castellazzo una notevole fonte di guadagno derivante dalla vendita d’acqua di irrigazione alle campagne del sud milanese.
Nel Seicento, l’Osservanza dei Gerolamini di Castellazzo, dopo aver acquistato sempre maggiore prestigio, consolida il suo forte legame con il patriziato milanese che investe molto in donazioni di denaro, case e terreni affinché il monastero diventi sempre più un luogo importante dove accogliere degnamente i propri figli cadetti.
Nel 1603, sotto la riforma di Carlo Borromeo, i monaci girolamini rifanno interamente, col nuovo titolo di Santa Maria dell’Assunta, la chiesa di S. Maria del Vigentino, di loro proprietà sin dalla fondazione del monastero, e l’arricchiscono con opere pittoriche dei maestri dell’epoca tra i quali il Cerano, pittore della famiglia Borromeo, oltre a collaboratori del calibro di Melchiorre Gherardini (il Ceranino) e Gerolamo Chignoli. L’ancona, gli affreschi, gli stucchi, gli arredi lignei, le pitture seicentesche sono le tappe di una stagione che nel Settecento proseguirà con l’altare in marmi mischi, un ricco tesoro di oreficeria sacra e l’affresco di Giovanni Battista Sassi nel battistero.
Nel 1635, alla fine della quaresima, il cardinale Cesare Monti, dopo aver sostato a Roma per
ricevere nel giugno del 1634 il cappello cardinalizio, si mette in viaggio per Milano dove lo aspetta
la nomina di arcivescovo ma prima di entrare in città, racchiudendo in un gesto simbolico la memoria dell’arcivescovo Pizzolpasso e la riproposizione del paradigma del vescovo erudito e di grande esperienza internazionale, soggiorna al Castellazzo per apprendervi le cerimonie del rito ambrosiano e celebrare nella chiesa del monastero, all’altare di San Carlo, la sua prima messa in rito ambrosiano da arcivescovo di Milano. ( All. 4 )
La lapide che ricorda l’avvenimento, ritrovata fortunosamente nei campi di Castellazzo, è
affissa alla parete dell’edificio al n. 15 di Via Campazzino (Cascina dei fabbri) a fianco della
cappella della Madonna dei 7 dolori dove annualmente i monaci esponevano la pergamena della “Tavola delle giornate” con elencate le festività e le ricorrenze religiose da celebrarsi da Maggio a Settembre nel borgo e a Castellazzo. Ne fa testimonianza il ritrovamento di un’antica pergamena, datata 28 luglio 1766, che elenca e descrive le feste solenni che i Gerolamini celebravano
richiamando a Castellazzo numerosissimi fedeli dai territori del Vigentino e del Morivione( All. 5 ).
Nella cappella, sullo sfondo del dipinto che rappresenta la Madonna dei 7 dolori si identifica la sagoma di un castello che può essere attribuita a quella del Monastero dei Gerolamini. Tra il 1614 e il 1618, su richiesta del Vescovo di Famagosta e sotto la direzione di Giovanni Battista Guidabombarda, il Monastero di S. Gerolamo è “tutto rifabbricato di novo sopra l’antichità del Castello donato dal Duca et sopra il Monastero vecchio”. Dalle piante e dai disegni del progetto di Guidabombarda, finora recuperati, è difficile stabilire come si era evoluta nel corso dei secoli, e si evolverà a progetto eseguito, la forma del Convento ma rimangono ancora alcune mappe dove appaiono la pianta del Monastero e il fabbricato oggetto della richiesta di vincolo (ASMI, Mappe Carlo VI n.3377 e ASMI, Mappe, 1850 n.1789 ) e dove è restituita la zona dei rustici, al di là del Ticinello, nelle quali sono ancora riconoscibili delle vecchie cascine ai bordi di Via Campazzino (3).
L’Illuminismo monastico di Castellazzo
Il Settecento rappresenterà per i monaci del Castellazzo il loro periodo di “illuminismo cristiano” sotto il papato di Benedetto XIV, il famoso cardinal Lambertini. Intrattengono relazioni con esponenti insigni dell’illuminismo cattolico lombardo legati al movimento di riforma portato avanti da Antonio Ludovico Muratori (1672-1750) e appoggiato da papa Benedetto XIV durante il suo pontificato (1740-1758). Impegnati in una campagna per un nuovo rigore morale e per la partecipazione attiva dei fedeli alla società civile, questi ecclesiastici si proponevano di armonizzare ragione e fede anche attraverso l’introduzione delle nuove teorie scientifiche, come il sistema newtoniano e il calcolo infinitesimale.
I Girolamini di Castellazzo si riconoscono nella linea culturale Prospero Lambertini-Angelo Maria Quercini (erudito cardinale di Brescia, con comunanza di interessi culturali con i gerolamini, nominato loro protettore)-Giuseppe Pozzobonelli (arcivescovo di Milano nel 1743), che pratica la conciliazione tra fede e ragione, un deuteromuratorismo religioso e civile plasmato dagli ultimi scritti di Ludovico Muratori.
Con il cardinale Quercini, i Gerolamini realizzano, tra il 1740-1743, un’operazione di grande prestigio: la nuova qualificazione classicista della chiesa dei santi Cosma e Damiano. Ad appena un trentennio dal precedente grande intervento di Legnanino, Abbiati e Cignaroli, i Gerolamini, con l’evidente volontà di fare della chiesa la “presentazione” dell’Ordine a Milano, arricchiscono la chiesa con opere pittoriche di Pierre Subleyras, Giuseppe Bottani, Pompeo Batoni, fatte venire espressamente da Roma. “E’ un’operazione di alto respiro culturale che introduce a Milano un vigoroso classicismo romano già alle porte del neoclassico e che soprattutto lo presenta in un gruppo di dipinti assai omogenei, in grado di rispecchiare il nuovo muratorismo dei committenti (da “Santa Maria Assunta al Vicentino” di Laura Facchin e Andrea Spiriti)”. Nel secolo XVIII il convento risulta ancora possedere numerosi terreni nelle comunità di Quintosole, Castellazzo, Selvanesco, nella comunità di Vigentino e nella pieve di San Donato (4).
La Repubblica Cisalpina sopprime
Il 24 Aprile 1798, 24 fiorile anno VI del direttorio esecutivo dalla Repubblica Cisalpina, con la soppressione delle corporazioni religiose e la loro concentrazione nel dipartimento d’Olona, viene soppresso anche il monastero dei Gerolamini di Castellazzo e i loro beni vengono venduti. Al momento della soppressione della congregazione dei Gerolamini di Castellazzo si può far coincidere l’inizio della rovina del monastero e il suo progressivo smantellamento dal territorio che ne relega, ormai, la memoria ai soli documenti storici. I motivi per i quali si è voluto cancellare la presenza del Monastero nell’area di Castellazzo e del borgo del Vigentino sono forse da ricercare nell’ostilità con la quale la Chiesa tradizionalista ha sempre guardato all’opera di quei monaci, mal tollerandone il sostegno alle correnti innovatrici della Chiesa aperte all’Umanesimo, al Rinascimento, all’Illuminismo e, non per ultimo, non sopportandone il prestigio culturale e religioso che ne aveva fatto un monastero ricco e noto in tutta Europa anche per la sua leggendaria biblioteca.
A tale proposito si può citare, a esempio, la risibile delazione-relazione redatta dal preposto di San Donato, Antonmaria Giambelli, e inviata a un suo superiore, nel 1769, in cui denunciava i monaci gerolamini: “ Si vantano di non applicare mai la messa conventuale per i Benefattori, o donatori, benché da quelli abbiano avuto in dono la maggior parte dei fondi che possiedono. Nessun aiuto spirituale riceve da loro il popolo, né gli è punto affezionato, sebbene dissimula, per essere da loro, come padroni, dipendente. Fuori dal Chiostro altre volte hanno cagionato gravi scandali; di presente si contentano di girare per le case dè Rustici, e trattenersi in ciance con le femmine (5)”. La biblioteca venne smembrata e una parte la ritroviamo all’Ambrosiana e all’archivio storico diocesano. Nella chiesa di Santa Maria dell’Assunta, che fu dei Gerolamini, sono stati portati l’altare maggiore e l’ancona che appartenevano al Monastero.
Tuttavia rimane il mistero della scomparsa di questo complesso monastico di notevoli proporzioni storiche, sociali, ambientali e culturali. Raffaele Bagnoli, a questo proposito, scrive: “Solo recentemente, da alcune persone anziane del Castellazzo, ci è stato riferito che vecchi contadini arando il terreno nell’area del monastero, sovente con l’attrezzo urtavano grosse pietre squadrate che appartenevano sicuramente alle fondamenta del monastero (6)”. Oggi, di quella presenza del monastero non è rimasta traccia se non per alcuni beni superstiti che ne costituiscono l’unica preziosa testimonianza e che sono stati l’oggetto della richiesta presentata il 17 giugno 2014 alla “Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici” del vincolo di tutela monumentale, ex lege giugno1089/39 in quanto testimoni della presenza del Monastero di San Gerolamo lungo le sponde del Ticinello in frazione Castellazzo di Milano. Richiesta di vincolo fatta propria anche dal Consiglio di Zona 5 con la delibera n.124 del 2014.
Le emergenze da salvare
Come una costante persecutoria damnatio memoriae, nessuna risposta è arrivata dalla Soprintendenza alla quale si chiedeva di tutelare:
– l’ex foresteria dell’antico Monastero dei Gerolamini (all. 6, vedi qui sopra)
– la cappella edicolare secentesca della “Madonna dei sette dolori” (all.7)
– il ponticello quattrocentesco (all. 8)
– la chiusa settecentesca che regolamentava il flusso delle acque del Ticinello (all. 9)
– il cippo in granito del ‘900 che vieta la balneazione nel “gorgo” (all. 10)
Il riconoscimento del valore storico, monumentale e ambientale di questi antichi manufatti è ben presente nella coscienza degli abitanti del Quartiere Vigentino dove, da decenni, convive anche il desiderio di vederli finalmente tutelati e valorizzati unitamente all’intero ambito del Ticinello a essi connesso e tutelato con il vincolo paesistico ambientale ex lege 1497/39 operante dal 24/11/1993. L’ex foresteria è l’ultima testimonianza rimasta del quattrocentesco Monastero dei Gerolamini di Castellazzo situato sulle sponde del Ticinello, antico corso d’acqua noto fin dal 1271 quando il Naviglio Grande entrava in Milano nello slargo di S. Eustorgio dopo aver incrociato l’Olona. All’incontro del Naviglio con l’Olona, fuori Porta Ticinese, le acque venivano fatte defluire sotto il ponte detto del “Residuo” in una roggia che fu denominata Ticinello in ricordo del nome primitivo del Naviglio Grande. Ancora oggi il Ticinello riceve le acque del Naviglio Grande e, come allora, continua a irrigare i campi del sud milanese, in specie dell’omonimo Parco del Ticinello, poco distante, con le cascine Campazzo e Campazzino.
Novembre 2022
Note
(1) ASMI, Fondo di Religione, parte antica, cart. 2369; cart. 2370).
(2) Descrizione di Milano, 1737, Serviliano Lattuada, Tomo V num. 209).
(3) ASMI, Fondo di Religione, parte antica, cart. 2376).
(4) Catasti ecclesiastici, sec. XVIII, girolamini.
(5) Da “Vigentino-Monastero del Castellazzo” di Raffaele Bagnoli)
(6) Ibidem Op. cit.
Bibliografia:
– Richiesta di vincolo ex lege 1089 da apporre, lungo le sponde del Ticinello in frazione Castellazzo di Milan, sui beni che testimoniano la presenza e la storia del Monastero di San Gerolamo (Milano 17 giugno 2014).
– “Vigentino, Monastero del Castellazzo, Le tre chiese del borgo” di Raffaele Bagnoli, 1988 Arti Grafiche Antonio Saita.
– “Il Monastero di S. Gerolamo al Castellazzo”, tesi di laurea di Cristiano Mauri (a.a. 2001/2002 Università Cattolica di Milano – Rel. Ch. Prof. Maria Luisa Gatti Perer, fondatrice dell’ISAL, Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda).
– “Santa Maria Assunta al Vigentino – La storia di una comunità dall’utopia dell’arcivescovo Pizzolpasso alla committenza al Cerano” di Andrea Spiriti e Laura Facchin, 2012 Silvana Editoriale.
– “Descrizione di Milano” (Tomo V – num. 209) di Serviliano Lattuada