SOMMARIO È il borgo-Comune più grande, più bello e meglio conservato di Milano, un vero gioiello d’epoca immerso nel Parco Agricolo Sud, conservato grazie ai limiti e ai vincoli di costruzione imposti dalla Soprintendenza. Non sembra nemmeno di essere a Milano. Purtroppo, mentre l’abbazia è seguita con attenzione, non altrettanto si può dire del borgo abitato, che presenta numerosi punti di degrado e diversi complessi rurali in totale rovina. Difettano idee, programmazione e investimenti. L’aggregazione a Milano del 1923, nonostante la prevalente presenza di eccellenze artistiche, non ha giovato affatto
di Riccardo Tammaro
Fotografie di Barbara Trabalzini
In questa pagina ci occuperemo della storia del borgo rurale di Chiaravalle e delle sue cascine tuttora visibili; in altra pagina del significato storico e artistico della ben nota abbazia.
Sito all’estrema periferia sud-est di Milano, e confinante con il comune di San Donato Milanese, il borgo di Chiaravalle si presenta al visitatore come dominato dalla bellezza della torre nolare della sua abbazia, ma al tempo stesso immerso in una cornice verde e bucolica estremamente rilassante.
Il borgo inoltre ha mantenuto numerose caratteristiche acquisite nei secoli, e conserva quell’aura di borgo rurale per cui passeggiandoci sembra di essere in un tranquillo paese della bassa padana; anche il dialetto qui è lievemente differente dal milanese delle zone più centrali.
Del resto stiamo parlando di un borgo che ha sempre goduto di una sua autonomia, fin dalla sua fondazione fino al 1923, quando il comune di Chiaravalle, che includeva anche il borgo di Rogoredo, venne cancellato ed il suo territorio annesso al comune di Milano. Sulla strada che conduce verso il centro del borgo è ancora visibile il suo municipio, poi trasformato in scuola.
La storia di Chiaravalle coincide per la parte iniziale con quella della sua notissima abbazia, e ci parla del XII secolo, ed il primo documento è in realtà una lapide, che era situata sulla porta che dal chiostro portava alla chiesa abbaziale: su di essa si trova la data 22 gennaio 1135, che pare essere la data della posa della prima pietra; il luogo della costruzione era una località chiamata Bagnolo in loco Roveniano (o Rovegnano). Per certo il 22 luglio 1135 venne inaugurato un primo edificio, di cui però nulla è rimasto.
Verso la fine del 1134 erano infatti giunti a Milano alcuni Cistercensi provenienti da Clairvaux, cittadina della Borgogna in cui si trovava un’abbazia cistercense, fondata da Bernardo di Fontaines ed erano stati ospitati dai benedettini di Sant’Ambrogio. Con loro era lo stesso Bernardo, di passaggio a Milano per dare sostegno a papa Innocenzo II, contro il quale era stato eletto l’antipapa Anacleto II. La sua predicazione risultò così convincente che il clero milanese avrebbe voluto eleggerlo come vescovo della città. Egli però declinò l’offerta e decise invece di fondare, in una zona paludosa a sud-est della città, una nuova abbazia, che prenderà il nome di Chiaravalle da quella borgognona di Clairvaux; in particolare il monastero sarà eretto sulla terra di un certo Girardo Agonis, a 4 miglia dalla città, e verrà citato già in un documento dell’ottobre 1135.
Invenzione della tecnica a marcita
Dal punto di vista agricolo questa fondazione ebbe una enorme importanza perchè fu qui, dove fino ad allora si trovava un terreno acquitrinoso, che i Cistercensi realizzarono le prime “marcite” milanesi, una tecnica che avrebbe consentito un grande sviluppo all’agricoltura lombarda, a cominciare dai loro possedimenti.
Tra il secolo XIII e il XIV, infatti, la proprietà dell’abbazia di Chiaravalle si espanse nei territori limitrofi, coltivati con questo ingegnoso sistema, e ciò proseguì anche nei secoli successivi, tanto che nel 1722, in un’inchiesta preparatoria per il Catasto Teresiano, risultò che la superficie totale della comunità ammontava a 10.000 pertiche, pari a 654 ettari, e che nel borgo esistevano una ventina di case da massaro, in gran parte di proprietà del monastero, due mulini e un’osteria.
Per chi non la conoscesse, detto brevemente, la marcita è una tecnica colturale che consiste nell’utilizzo dell’irrigazione effettuata con l’acqua proveniente dalle risorgive anche nella stagione invernale; nella stagione estiva i prati vengono irrigati periodicamente, mentre in quella invernale sono irrigati in modo continuato. Questo è possibile perchè l’acqua di risorgiva, che generalmente sgorga per tutto l’anno ad una temperatura costante compresa fra i 9 °C in inverno e i 14 °C in estate, viene mantenuta in continuo movimento dalla conformazione lievemente declinante del terreno, impedendo in questo modo che il suolo ghiacci; questo sviluppo della vegetazione consente di effettuare annualmente almeno sette tagli di foraggio (talora anche nove), contro i 4 o 5 ottenuti dalla coltivazione tradizionale del prato.
Il borgo
Passiamo ora a esaminare quali cascine insistano sul territorio riferibile a Chiaravalle. Iniziamo appropinquandoci al borgo dalla città, e percorriamo quindi tutta la via San Dionigi fino al termine. Giunti alla rotonda (su cui ritornerò in seguito) tra le via San Dionigi e Sant’Arialdo (già strada della Moncazza, pare dal nome di una cascina ormai scomparsa) prendiamo a destra e, subito prima dell’abitato, alla nostra destra noteremo una cascina posta al termine di una strada privata.
La Cascina San Bernardo è stata costruita all’inizio del Novecento, ed è collocata nelle immediate vicinanze del borgo di Chiaravalle. Si tratta di un complesso a corte con alcune caratteristiche originali: lo spazio delimitato dagli edifici è stretto e lungo (anzichè quadrato come di norma), e uno dei lati maggiori, costituito dalle stalle con il fienile al piano superiore, è concluso da due torrette simmetriche a pianta quadrata che conferiscono al complesso un aspetto fortificato.
Esse ospitano due piani di abitazioni; sempre ad abitazioni è destinato l’altro edificio che delimita la corte sul secondo lato maggiore. Al piano terra di quest’ultimo sporge un lungo portico, la cui copertura costituisce un ampio terrazzo al piano superiore. Il perimetro della cascina è delimitato per tre lati dal collettore di Nosedo, che convoglia le acque della roggia Vettabbia verso sud, ed è qui costretto ad una deviazione rispetto al suo corso rettilineo.
Di fronte, ossia sul lato est della via Sant’Arialdo, sorge invece la storica trattoria “Al Laghett”, attiva dal 1890, che fa riferimento al laghetto, ormai prosciugato ma ancora intuibile tra la folta vegetazione, in cui pescavano i monaci dell’abbazia; da qui verrebbe la serie di almanacchi intitolata “Il pescatore di Chiaravalle” ideata nel XVIII secolo.
Proseguendo sulla via Sant’Arialdo, che collega Rogoredo e via Ripamonti rasentando da ovest l’abitato di Chiaravalle, percorsi pochi metri troviamo una piazzetta (ora in parte pedonalizzata) che rappresenta in certo modo uno dei centri di Chiaravalle. Qui infatti, utilizzando la retromarcia, faceva capolinea l’autobus della linea 207 (che girava negli anni ’70 e sarebbe stata rimpiazzata dalla linea 77), davanti ad un negozio di generi alimentari che vendeva davvero un po’ di tutto, ed era molto utile durante le lunghe attese dell’autobus stesso.
Dalla piazzetta, su cui si trova una cappella devozionale risalente al tardo Settecento o inizio Ottocento, fatta costruire dalla famiglia Invernizzi e da cui la località prese il nome di “Madonnina”, si stacca la via che collega la via Sant’Arialdo con il centro del borgo, sfruttando un passaggio a livello recentemente smantellato a seguito della chiusura del transito ferroviario, corredato di un sottopassaggio pedonale e ciclabile.
Prendendo la strada verso il borgo, dedicata (e non deve sorprendere) a San Bernardo, fondatore dell’Abbazia, subito dopo l’ex passaggio a livello si riceve un strada da destra: è quella che, costeggiando il sopra citato collettore di Nosedo, consente di accedere al borgo tramite un minuscolo sottopassaggio automobilistico con semaforo a senso unico alternato; è questa l’unica alternativa all’ex passaggio a livello per accedere da Milano al borgo (a meno di transitare da Poasco, frazione di San Donato Milanese).
Poco oltre, sulla sinistra, si trova il già citato ex municipio di Chiaravalle, ora adibito a scuola, preceduto dal passaggio per il circolo Arci Pessina, fondato negli anni Cinquanta del ventesimo secolo.
Basta allora percorrere un centinaio di metri per immergersi nell’atmosfera del tempo che fu (nonostante qualche demolizione e ricostruzione): case pluricentenarie costeggiano la strada, precedute da un marciapiede di ridotte dimensioni, come si usa in campagna, e qua e là spuntano caratteristiche particolari, come ad esempio una meridiana. La strada poi prosegue, giungendo alla piazzetta principale del borgo, su cui si attestano altri locali per la ristorazione, fino ad attraversare il borgo indi, costeggiando una cascina pericolante che un tempo pare fosse anch’essa una grangia (ossia come detto un’azienda agraria che dipendeva dal monastero), si ricollega con quella che congiunge Poasco e Bagnolo.
Prendendo a sinistra e poi a sinistra ancora per un viottolo che attraversa il territorio del Parco Sud, si torna infatti nei pressi della rotonda sopra citata (non raggiungibile perchè la strada è interrotta dalla ferrovia seppure inutilizzata). A cento metri da qui si trova la cascina “San Francesco dell’Accessio”. Questo nome, attribuito anche alla roggia vicinale alimentata oggi dalle acque pulite della Vettabbia, potrebbe derivare dal latino “accessio”, che era un concetto dell’antico diritto della proprietà romana, che stabiliva che il proprietario di un oggetto principale lo fosse anche di un “accessio”, ossia di un oggetto collegato al principale (da qui deriverebbe il termine “accessorio”).
Tornando alla cascina, seppure amministrativamente ricada nel comune di San Donato, essa fa parte della storia di Chiaravalle, dato che era una grangia del monastero. Pur se ormai in stato di degrado e poco visibile in quanto coperta parzialmente dall’autostrada, nascosta tra i campi si trova questa costruzione molto antica, riportata sulle cartine come Cascina San Francesco, mentre il nome riportato sulla targa affissa al suo esterno recita “Cascina Accessio”.
Una volta giunti davanti al complesso si possono notare subito i segni del degrado, preannunciati da un cartello che recita “fabbricati pericolanti”; al tempo stesso è però possibile intuirne gli antichi fasti, tuttora ricordati, oltre che dalla suddetta targa, da un ampio arco che sormonta un possente cancello in ferro battuto e dalla corte quadrata, tutta circondata da edifici; attualmente essi purtroppo non versano in buono stato, ma ancora solo una ventina di anni fa conferivano a questa cascina un aspetto molto gradevole.
Terminata la digressione ripartiamo della piazzetta e riprendiamo la via Sant’Arialdo dirigendoci verso l’abbazia. Sulla sinistra troviamo una cascina, che un tempo ospitava numerosi animali da cortile nell’aia ora trasformata nel parcheggio retrostante, di cui tuttavia si possono ancora apprezzare alcuni tratti architettonici; in seguito troviamo un ponte pedonale in legno sul collettore di Nosedo che ci conduce all’ingresso principale dell’Abbazia.
All’interno della proprietà religiosa, recentemente restaurato, si trova un antico mulino, sito a cavallo del Cavo Macconago, che dovrebbe presto erogare acqua depurata per consentirne l’azionamento della ruota; il mulino si compone di locali di epoche diverse raggruppati attorno ad un edificio del XII secolo, ed è diviso in due parti: la prima è costituita da un edificio utilizzato a suo tempo come deposito di frumento, e la seconda da un edificio posto a cavallo del fossato, che tuttora ospita la sella della ruota del mulino e gli spazi per la macina. Attualmente viene usato a scopo didattico tramite visite guidate.
Superata l’abbazia, la via Sant’Arialdo passa nel mezzo delle proprietà di Cascina Gerola, di cui appare subito la stalla bruciata, ed in corrispondenza della quale la via subisce una lieve strettoia, memoria dei tempi antichi; si giunge quindi al cimitero, aperto nel 1895, che è preceduto da una piazzola dove si trovano due enormi pioppi; poco oltre infine, sulla destra, si trova la cascina Fornace, che però a seguito di una pesante ristrutturazione ha totalmente perso le sue caratteristiche rurali, pur conservando i corpi di fabbrica, e a questo punto il bivio ci porta da una parte a Poasco e dall’altra, sulla prosecuzione della via Sant’Arialdo, alla via Ripamonti; si conclude qui l’abitato di Chiaravalle.
Fine della prima parte. La seconda la trovate QUI:
https://iborghidimilano.it/2023/04/16/chiaravalle-2-labbazia