Troppi abbattimenti insensati di abitazioni d’epoca, anche quando si potrebbe costruire qualcosa di nuovo conservandole. Si susseguono incessanti ovunque, senza che nessuno possa intervenire per bloccare demolizioni che trasformano radicalmente Milano e i suoi borghi. Così rischia di diventare una città senza memoria, in preda alla speculazione edilizia più becera
di Roberto Schena Michele
Gli edifici e i segmenti della “vecchia” Milano non sono automaticamente tutelati: il loro destino, se non particolarmente difeso dalla cittadinanza, è inesorabilmente spacciato. Non importa la loro età e la loro influenza sulle generazioni, il loro valore estetico, se sono di proprietà privata e non vengono esplicitamente dichiarati di interesse pubblico, che siano cascine o stabili condominiali, ville signorili o fabbricati celebri, prima o poi saranno abbattuti. Ormai è una legge non scritta. Accade in continuazione, senza pietà e nell’esclusivo interesse del proprietario, il quale in genere guadagna la possibilità di costruire decine di vani che prima non esistevano. Le cose più pregevoli finiscono in macerie anche quando è possibile recuperarle accanto al nuovo, ecco alcuni esempi recenti.
L’ultimo abbattimento in ordine di tempo riguarda un angolo della vecchia Lambrate in via Egidio Folli ai civici 41, 43 e 45. Presto saranno abbattuti per lasciare il posto ad un nuovo complesso residenziale. Si tratta di due palazzi anni 20, in modesto stile liberty, e di alcuni caratteristici fabbricati industriali.
Pochi mesi fa, aveva suscitato molto sconcerto l’abbattimento del cosiddetto “villino Badoglio”, in zona Porta Romana, graziosa abitazione liberty in stile eclettico-neo rinascimentale costruita nel 1926 dall’architetto Lorenzo Salvini (foto 1). Ornava piazza Trento, conferiva signorilità al luogo e all’attigua via Crema (vicino a piazza Lodi, vedi foto accanto). «Era l’edificio più bello della zona», afferma il presidente del Municipio 5, che ha fatto di tutto per arrivare a una sospensione dei lavori. «Non c’è stato modo di salvarlo perché nessuno ha chiesto di vincolarlo», ha concluso.
Prima del Covid fu la volta di un intero segmento di via appartenente all’ex comune di Precotto, aggregato a Milano nel 1923. In via Rucellai 14 c’era la casa e il laboratorio dei fratelli Gioia, costruttori di carri agricoli fin dal 1800 (foto 2). «Ci si poteva andare con qualche classe delle elementari ed era una gioia per gli scolari apprendere i mestieri antichi, quelli legati ai lavori della campagna», spiega il docente Ferdinando Scala. «Morti i proprietari, da qualche anno è stato tutto abbattuto, casa e laboratorio ed è sorto un grande e anonimo condominio. Un altro pezzo della storia di Precotto che è stato cancellato».
Un paio di anni fa, in via Zumbini angolo via Biella, è stata la volta della cascina Barona, una delle più antiche di Milano, anche se più volte rimaneggiata. Dava il nome a un’intera zona di Milano, la Barona, appunto. La facciata esterna era caratterizzata da un’ampia, elegante terrazza (foto 3), mentre la corte interna era una tipica casa colonica, piuttosto interessante, ognuna delle abitazioni dotata di giardino (foto 4), purtroppo da alcuni utilizzato come parcheggio. La controfacciata mostrava un affresco molto pregevole (foto 6), a detta degli abitanti vincolato dalla Soprintendenza: purtroppo non si sa chi l’abbia dipinto, né che fine abbia fatto e nessuno ha informato la Soprintendenza.
Altra sensazioni ha suscitato la prospettiva di abbattere un altro grazioso villino liberty, situato in via Comelico 7, una via, occorre dire, già ampiamente caratterizzata da liberty (foto 5). L’abbattimento avviene per far posto a un nuovo edificio di sei piani, una grossa speculazione che contente notevoli introiti. Qui si sono mossi gli abitanti della via. Hanno interessato il sottosegretario Vittorio Sgarbi, il quale è stato intervistato dal Corriere della Sera. Sgarbi ha dichiarato che andrebbe realizzata una mappatura degli edifici storici a rischio. Sarebbero considerati tali e quindi vincolabili tutti gli edifici con oltre 70 anni. Questo consentirebbe di intervenire con un parere negativo in caso di una scellerate richiesta di demolizione. Allo stato attuale, infatti, non ci sono appigli per impedire le demolizioni di edifici privati non espressamente vincolati e spesso la Soprintendenza non è nemmeno informata delle intenzioni.
Molti se la prendono con la Soprintendenza che non tutelerebbe abbastanza il patrimonio dei manufatti, in realtà non ha poteri per intervenire in casi come questi. Infatti, non esiste alcun vincolo che le consenta di mettere becco sullo sfascio di edilizia privata, e non lo può porre di testa sua senza una relazione storico-artistica che in casi come questi ha deboli elementi da far valere. Purtroppo sono angoli d’epoca che hanno speranze di sopravvivere solo grazie alla sensibilità dell’amministrazione, a sua volta determinata da una pressione dei residenti. Questi ultimi, va detto, spesso non sono interessati, vogliono sempre il nuovo. Per di più la legge tende a dare ragione alla proprietà.
I DANNI DEL SILENZIO-ASSENSO
Per abbattere tali edifici, è sufficiente una richiesta di demolizione da parte del proprietario, che scatta dopo qualche mese grazie alla norma del silenzio assenso. Per opporsi, il Comune o la Soprintendenza dovrebbero tirarla per le lunghe e presentare delle controdeduzioni. Ma attenzione, qualora non fossero ritenute fondate dal Tar, comporterebbero un risarcimento dei danni alla proprietà, che ha tutto il diritto di abbattere e costruire, almeno secondo le disposizioni del piano urbanistico, sempre molto largo a favore dei privati. E’ la speculazione edilizia, priva da sempre di veri freni.
Ma torniamo a via Folli, a Lambrate l’ultimo abbattimento in programma, segnalato da Urbanfile. Si tratta di un interessante angolo d’epoca, anni 20 o 30, con due stabili per abitazioni abitazioni destinate al ceto medio, probabilmente piccoli proprietari o impiegati. Lo stile è marcatamente liberty, con ornamenti floreali abbastanza impegnativi lungo la facciata, tipicamente art déco ai balconi e agli ingressi dei negozi, a quanto sembra non capito da chi ha usato questi spazi commerciali, basta guardare la foto 7 qui a fianco. Alle spalle dei due stabili si notano fabbriche il cui tetto è a shed, ossia “a dente di sega”, con il quale si riesce a ottenere un’illuminazione diurna molto uniforme, senza bisogno di coperture solari e finestre, tipico di un modo di costruire “a moduli” (foto 8), ormai sempre più sottoposto a cancellazione, nella scarsa considerazione generale. Un blocco misto industriale-abitativo sorto sul Lambro sicuramente per qualche ragione pratica, forse risalente a quando Lambrate era un comune.
«Certo, le due palazzine non erano dei capolavori, ma forse, almeno il civico 41, certamente più elaborato, poteva venire salvato e inglobato nel nuovo complesso», commenta Roberto Arsuffi, creatore di Urbanfile. «Operazione forse più costosa, ma di sicuro avrebbe preservato la storia del luogo», valorizzando proprio il nuovo.
Operazioni becere, in altri termini, eppure luoghi così significativi, che hanno qualcosa da raccontare al passante e a chi ci vive, sono ormai divenuti rari. Forse dice poco ai cervelli piatti ma gli edifici che hanno sostituito o progettato al posto di tali segmenti della vecchia Lambrate, o di Precotto, o della Barona, o di Porta Romana, sono sicuramente molto meno significativi. Spesso si tratta di blocchi pesanti con decine di nuovi appartamenti che prima non esistevano. Belle speculazioni, insomma, che soddisfa le tasche dei proprietari, non il paesaggio urbano. Non la differenziazione storica della città.