SOMMARIO Ospitato nella settecentesca Masseria Luce, ecco un civilissimo, altamente pedagogico luogo della memoria in grado di raccogliere i frammenti storici di uno dei 9 comuni aggregati a Napoli nel 1926, diventati “periferie”. Non ne esistono altri simili in Italia, è il solo esempio che abbiamo per capire come possiamo non gettare il passato nel nulla, comprendere che cosa è avvenuto ai margini delle grandi città. Ne nascano cento, di questi musei, allora
di Roberto Schena Michele – Fotografie di Velia Cammarano
Aessere precisi, il luogo è noto come “Museo laboratorio della civiltà contadina – Masseria Luce”, ma raccoglie di fatto il materiale di varie epoche presenti in loco e il luogo è San Pietro a Patierno. È un ex comune, aggregato a Napoli insieme ad altri otto tra il 1925 e il 1926. Come tutti i comuni aggregati a grandi città, rispetto a quest’ultima si trova fatalmente in zona periferica, e questa masseria trasformata in museo è un particolare dell’antico centro storico. L’ex comune in questione è oggi un quartiere esterno ben conosciuto di Napoli, ma forse si è perso dalla memoria che il territorio comprendeva la frazione di Capodichino, oggi per buona parte occupato dall’areoporto internazionale. Come tutti i borghi-comuni aggregati in Italia negli anni Venti, che nel Napoletano e nel Mezzogiorno originano dai casali, San Pietro a Patierno ha subìto una trasformazione declassante: da cittadina a periferia marginale. Un simile destino forse poteva essergli risparmiato se solo il fascismo, ormai saldamente al potere, avesse compreso l’innovazione del decentramento, già sperimentato in Europa e anticipandolo in una nuova sfera metropolitana, come da più parti del Paese richiesto.
Dell’areoporto, ovviamente, subisce tutti i danni e nessun tipo di integrazione riparativa. È il destino di tutti i comuni aggregati alle grandi città, obbligati a regalare il proprio territorio allo sviluppo della megalopoli industriale e residenziale. Lo stesso museo di San Pietro a Patierno è sorto nell’ottobre del 2000 all’interno della settecentesca masseria omonima, restaurata con gli interventi predisposti ad accogliere le famiglie dopo terremoto. Che cosa si puo vedere, nel museo? Si articola in varie segmenti: religiosità popolare, attrezzi di lavoro, abitazione tipica (contadina e signorile), mestieri vari. Una delle sale raccoglie documenti storici, prezioso materiale pervenuto soprattutto dalla raccolta di reperti appartenenti alle antiche arciconfraternite del luogo, associazioni a sfondo religioso e assistenziale un tempo popolanti le città analogamente ai circoli no profit di oggi. Importante anche il contributo dei cittadini.
La sezione agricoltura è la più importante, trattandosi di un ex comune decisamente dedito a tale funzione. Sono esposti centinaia di antichi attrezzi, piccoli e grandi, ordinati su pannelli e suddivisi in sottoinsiemi: aratura, semina, coltivazione, raccolto vino e cantina, lavorazione e vendita dei prodotti. Una fotografia ingrandita mostra le strette, lunghe scale di legno adoperate per raccogliere l’uva dalle vigne alte, nonché i cestini a punta atti a ricevere i grappoli, presenti qui nella collezione.
Il passaggio da comune a quartiere
In uno dei molti locali della masseria è stata ricostruita nei dettagli l’abitazione tipica dei residenti, quando in pratica tutte le famiglie convivevano ciascuna in una stanza sola, i più fortunati in due stanze, col gran lettone al centro, il tavolo, le sedie, i piatti, i cassettoni dei mobili in legno pesante, usati anche come letti per i bambini. Vederla ha il suo effetto, sa di povertà, ma tutto sommato non esagerata, si direbbe mediamente dignitosa. È stato da sempre il modo di vivere di gran lunga prevalente nel mondo dei non abbienti fino a Novecento inoltrato. Qui i ragazzi delle scuole in visita possono rendersi conto dei differenti modus vivendi di ieri e di oggi, toccare con mano quale emancipazione economica sia stata raggiunta, dal campo abitativo al campo tecnologico lavorativo.
La sezione documenti raccoglie fotografie e disegni aventi come soggetti i vestiti e i costumi del passato, gli indumenti della civiltà preindustriale, poveri o raffinati, eleganti o meno. C’è anche della cartografia riguardante i casali del circondario napoletano. Documentato il passaggio di S. Pietro a Patierno da comune, quale è stato fino al 1926, con un suo sindaco, una giunta e un consiglio comunale, a semplice quartiere aggregato di Napoli nonostante il parere contrario dell’intero consiglio comunale, verbalizzato e qui in copia, un’opposizione che gli 11 comuni aggregati a Milano nel 1923 conoscono bene. Il verbale conferma che ovunque in Italia le aggregazioni furono mal viste dai residenti. Oltretutto, le intenzioni iniziali del Governo erano di dare vita più che a una “Grande Napoli” a una Napoli dell’Era Fascista, comprendendo antichisime, gloriose città, ininterrotta da Pozzuoli a Torre del Greco, con Portici, Ercolano, parte del Vesuvio. Manie di grandezza senza aderenza alla realtà.
La mega città così concepita avrebbe raggiunto il milione e 100mila abitanti già nel 1926, 200mila in più di quanti ne ha oggi calcolando i nove comuni poi effettivamente annessi. Avrebbe avuto quasi 200 kmq di estensione invece degli attuali 117. Della “Napoli colossale” fortunatamente non se n’è fatto nulla, probabilmente per la presa d’atto di uno svuotamento demografico, pari a circa 30 mila abitanti, registrato dal 1921 al 1931, dovuto all’immigrazione verso il nord America. In questo decennio, Napoli dovette cedere contemporaneamente il primato demografico prima a Milano, poi a Roma. Il milione di abitanti Napoli lo raggiunse solo nel 1971, arrivando a un milione 271mila residenti, uno sviluppo tutto sulle spalle dei 9 comuni aggregati, per poi scendere agli attuali 900mila, ma a fronte di un’area metropolitana tra le più popolose d’Europa.
Fu così quindi che Barra, Chiaiano, Pianura, Piscinola, Ponticelli, S. Giovanni a Teduccio, S. Pietro a Patierno, Secondigliano, Soccavo, i nove comuni circonvicini, perdendo l’autonomia, divennero “periferie”, distintesi come ovunque in Italia per la scarsa governance, impossibilitate a gestire la pesante problematica amministrativa e demografica legata alle annessioni, drammaticamente mancanti di adeguati strumenti organizzativi. Restano ville, chiese d’arte e prospettive monumentali, vie e piazze d’epoca, parchi, edifici del vecchio municipio, tradizioni, feste locali, il tutto ancora incredibilmente in piedi sebbene non sempre in buone condizioni. E masserie. Queste ultime corrispondono alle cascine dell’area padana, hanno la stessa identica funzione, anche se pianta e stile architettonici si presentano alquanto diversi. Per esempio, vertono intorno alla casa padronale, mentre le cascine padane hanno tutte una vastissima corte quadrata all’interno.
Che cosa racconta una masseria
Qui a S. P. a Patierno il nobile del paese si chiamava barone Tommaso Carizzo. Nella sua masseria, i muri sono intonacati di bianco, mentre belle scale in pietra conducono sia agli appartamenti del piano superiore, sia alla cantina. E in pietra granitica sono le decorative bordature esterne di porte e finestre fino al secondo piano (cosa rara nella cascine dell’area padana). Il pozzo è accanto al lavatoio dei panni. L’accesso alla casa padronale è indipendente; in altra parte invece si trova l’accesso alle abitazioni coloniche e alle stalle, ai locali adibiti alla custodia degli attrezzi da lavoro. Al primo piano, una loggia dotata di garritta non dissimile da quelli militari, consentiva di controllare le campagne circostanti, sorvegliare sul lavoro dei contadini, ma a anche mirare l’orizzonte, l’arrivo di un temporale, il transito di passanti e bestiame.
La masseria di San Pietro a Patierno fu edificata tra il 1742 e il 1756 accanto a una preesistente cappella, tuttora esistente accanto, dedicata a Santa Maria della Luce fin dal 1687. La Madonna della Luce è entrata nell’immaginario del posto dal XVII secolo, probabilmente a seguito della preoccupante eruzione del Vesuvio nel 1632, tale da oscurare il cielo per giorni. Gli abitanti decisero allora di portare in processione un quadro della Madonna Bruna con Bambino (figura venerata già dal XIII secolo un po’ ovunque), trovato fra i rovi ma dipinto da ignoto, probabilmente proveniente da Casaluce, nel Casertano. Il cielo, nero di cenere, si aprì, da qui il nome di Madonna della Luce.
La chiesa accanto alla quale fu costruita la masseria c’è ancora e anche il quadro è presente, sebbene sia solo una copia (l’originale è sparito 40 anni or sono). Chiesa e masseria con il sisma del 1980 furono ridotte in rovina. In anni recenti, masseria e chiesa sono state riportate allo stato originario grazie all’impegno del Comune di Napoli con i finanziamenti del post terremoto e grazie a un gruppo di volontari. La navata della chiesetta, provvista di finestroni, conserva alcune lapidi tombali settecentesche della famiglia nobiliare e un pregevole altare maggiore in marmi intagliati. Le altre opere d’arte ivi custodite, nonché le suppellettili ecclesiastiche, sono state quasi tutte saccheggiate o rubate, come del resto avvenuto spesso negli oratori antichi del Bel Paese.
Memoria odierna
Interessante vedere come il museo si presti a conservare la memoria degli abitanti contemporanei di San Pietro a Patierno, per esempio esponendo le gigantografie di qualche squadra di calcio giovanile risalente agli anni 80. Oggi quei ragazzini sono nonni. O le foto delle coppie di sposi. Un museo di storia di lavoro, di individui e di famiglie. L’identità fra museo e quartiere-ex comune è salva.
Ovviamente, grazie al lavoro volontario dei cittadini, il museo è aperto alle visite delle scuole. Organizza corsi estate e inverno, sia nel laboratorio artistico, sia in quello dell’animazione teatrale, tanto per non dimenticare quanto arte e teatro abbiano straordinarie ed eccezionali tradizioni a Napoli, ricchezza rara risalente a secoli. Si impara anche a leggere la natura grazie a piccoli orti dimostrativi, a riconoscere le piante. Si cerca di mantenere le feste tradizionali, come in molti quartieri-ex comuni partenopei, del resto.
Il museo è diretto dall’Associazione Culturale Maria SS Della Luce (organizzazione di volontariato). Presiede Antonio Esposito, che è tra i fondatori del museo insieme al compianto presidente Mauro Marrotta. Direttrice la professoressa Maria Marotta. Si trova in via Comunale della Luce, senza numero civico, è la masseria posta all’incrocio tra via delle Cave e via San Pietro a Patierno.