SOMMARIO Quanto Bruzzano era a capo della sua pieve (lo fu fino al 1923). La chiesa della Beata Vergine Assunta (via E. Acerbi, 39) risale al X secolo, ma nel 1568 era talmente invasa di crepe che san Carlo Borromeo in visita pastorale pianse dalla tristezza. Tornò nel 1582 e la vide nelle stesse condizioni, se non peggio. Il problema non consisteva nella povertà del posto, tutt’altro, ma nella difficile riscossione delle decime. Un paio di anni dopo nominò un giovane parroco, di nome Giovanni Brocco che riuscì a farsele retribuire tutte, ottenendo così il denaro necessario per ricostruire il tempio. Il nipote di Carlo, il card. arcivescovo Federico Borromeo, negli anni successivi la visitò tre volte…
di Roberto Schena Michele
Carlo Borromeo, in un certo senso il più importante degli arcivescovi di Milano, forse anche più di Sant’Ambrogio (malgrado sia meno celebrato), ebbe occasione di visitare due volte la chiesa della Beata Vergine Assunta di Bruzzano, nel 1568 e nel 1582. In ambedue i passaggi, dovette registrare la triste condizione in cui versava il tempio, situato in una vasta capopieve, sotto la quale si riunivano le parrocchie di diversi borghi e comuni: convento delle Abbadesse (la chiesa di via Abbadesse), Affori, Bresso, Brusuglio, Cimiano, Cormano, Crescenzago, Dergano, Segnano, Greco Milanese, Niguarda, Pratocentenaro, Precotto, Turro. Il totale è di ben 23 chiese e 29 altari. Prendiamo come traccia il voluminoso libro autoprodotto, di quasi 600 pagine, scritto da don Eugenio Cazzani, intitolato “Bruzzano, memorie di un’antica pieve”. Divenuto parroco della chiesa della Beata Vergine Assunta di Bruzzano nel 1964, Cazzani visse fino al 1988, purtroppo senza poter vedere il suo libro stampato, pronto l’anno successivo.
che cos’è una pieve?
Ma prima di continuare, è bene soffermarsi un attimo per comprendere che cos’era una pieve, perché erano importanti. La pieve era per lo più un “villaggio” o anche una zona contenente un insieme di borghi e villaggi più o meno abitati; ha il suo precedente storico nel pagus romano, parola latina da cui derivano sia “pagano”, sia “pieve”. Il pagus era il villaggio o la comunità in genere più importante, al centro del quale c’era sempre un tempio dedicato a una divinità particolare, periodicamente oggetto di feste, celebrazioni e cerimonie collettive a carattere religioso e civile. I pagus finirono con il costituire l’unità di base del territorio amministrativo dell’impero romano e dei regni italici successivi, potrebbero essere definiti delle piccole fette di provincia sulla base delle quali furono costituite le pievi, formate da un determinato insieme di parrocchie, villaggi, borghi, cappelle, oratori e anche piccoli comuni. Il ducato di Milano, esteso dalla metà occidentale della Lombardia a parte del Piemonte, contava in tutto 85 pievi, arrivavano fino in Svizzera.
due visite di Carlo Borromeo
Durante le visite pastorali del cardinale arcivescovo, in genere, lui e il suo enorme entourage si occupavano di trovare il modo di restaurare le chiese più malandate e di provvedere a organizzare il mantenimento del parroco tramite incontri con i residenti per accordarsi su come mandare avanti la parrocchia. Nel caso della pieve di Bruzzano, la prima visita, del 1568, Carlo Borromeo pare che pianse nel vedere le condizioni in cui era ridotta (così almeno scrive sul suo diario), ma si conclude con un fallimento. Per 14 anni, tanto passa fra la prima e la seconda visita, del 1584, la situazione drammatica dell’edificio religioso resta tale. Il problema non era la povertà della pieve, tutt’altro, ma la cattiva riscossione delle tasse dovute.
Occorre pensare che una parrocchia era una necessità vitale per la comunità: svolgeva in pratica l’unico servizio sociale di un determinato borgo; un prete non era solo un dispensatore di ostie e preghiere, ma si interessava della vita e dei problemi dei parrocchiani, gran parte dei quali realmente credenti fino quasi a ingenue forme di superstizione, venendo loro incontro se possibile. Il parroco si occupava, quando poteva, degli orfani, delle famiglie incapaci di provvedere all’alimentazione dei figli; ne segnalava l’esistenza ai brefotrofi mantenuti dalla pubblica beneficenza; il parroco era spesso l’unica persona alfabetizzata del borgo, leggeva e spiegava i documenti e le lettere ai non letterati; dal Concilio di Trento in poi la parrocchia fungeva di fatto da anagrafe; spesso il parroco mediava tra contadini e nobili, tra borghigiani e feudatari; si occupava delle feste patronali, molto sentite. I parrocchiani, dal canto loro, chiedevano consigli e favori, dignitosi servizi di accompagnamento per gli avvenimenti più importanti della vita e della comunità, come battesimi, matrimoni, cresime, benedizioni di cose e animali, estreme unzioni, funerali.
le decime
Per mantenere le chiese, era imposta una tassa chiamata “la decima”, di solito corrispondente alla decima parte del raccolto o del reddito, ma poteva essere una percentuale più bassa, a seconda degli accordi. Il parroco della pieve di Bruzzano aveva il titolo di prevosto e come tale esercitava il diritto di riscuoterle. La cosa sorprendente è che la chiesa bruzzanese, nonostante la ricchezza e l’estensione dei campi, si presentasse parecchio malandata, poco più di un rudere con diverse crepe.
don Giovanni Brocco
Quando nel 1584 fu nominato prevosto l’energico don Giovanni Brocco (avrebbe poi preso possesso della sede l’anno seguente), gli fu ordinato da Carlo Borromeo di ricostruire la chiesa ex novo e probabilmente gli promise aiuti, come faceva di solito. Lo stesso prete spiegò nei suoi diari come la riscossione della decima, nella misura, come di diritto, di un ventesimo delle derrate e dei redditi, fosse molto difficoltosa: o perché non venivano esatte per incuria da anni e se n’era persa l’abitudine, o per resistenza dei soggetti a pagarla. Oppure venivano consegnate tra le derrate peggiori, o magari perché si rivendicava di esserne esenti. Per un paio di secoli, più o meno dal XIV secolo, i parroci della pieve di Bruzzano non hanno fatto altro che lamentarsi e denunciare chi non pagava la decima, a quanto pare senza conseguenze. Don Brocco affermò che, al contrario, dopo il suo insediamento, nell’arco di qualche anno ottenne tutte le decime dovute, anche dai più recalcitranti.
chiesa ricca
In effetti, la parrocchia principale della pieve, quella dell’Assunta di Bruzzano, nel XVI secolo era una chiesa potenzialmente ricca, bastava riscuotere quanto dovuto dai fedeli in termini di decime, in un territorio già allora considerato alquanto fertile, ricco di fontanili e possibilità di allevamento. I parrocchiani recalcitranti, tuttavia, non avevano tutti i torti, talvolta le riscossioni si presentavano particolarmente onerose, per esempio quando alla decima parrocchiale si univano la decima dell’imperatore, o del papa, di solito per sostenere campagne militari. Don Brocco, tuttavia, in poco tempo riesce a farsi retribuire in modo crescente ogni anno, fino alla conclusione del suo mandato a capo della pieve di Bruzzano, avvenuta nel 1611, ma se ne sarebbe andato l’anno dopo, superando come per magia tutte le resistenze dei parrocchiani. Come mai? Molto probabilmente ciò si deve al sacro timore suscitato dalle severe figure ieratiche ricoperte dal cardinale Carlo e dal nipote Federico Borromeo, suo successore: con le loro visite pastorali rendevano noto quanto ci tenessero alle chiese rientranti nella loro competenza arcivescovile.
il Cardinale, figura temuta
Come deliberato dal Concilio di Trento, largamente ispirato dalle molteplici proposte di Carlo Borromeo, i cardinali potevano disporre di guardie personali con cui combattere le eresie e i nemici della chiesa in generale, avviando processi e avvalendosi della Santa Inquisizione. E si sa che le guardie del Cardinale, in collaborazione con gesuiti e francescani lavoravano molto, bastava un sospetto di eresia o una soffiata per adulterio o bestemmia, la semplice denuncia di un prete, che erano arresti e dolori nel vero senso della parola. Con i cardinali di Milano post Controriforma non si scherzava troppo.
come avvenivano le visite pastorali
Le visite pastorali alle varie chiese della diocesi avvenivano in pompa magna, con tutto il clero della pieve e delle chiese vicine, presente, seguiti da nobili, borghesi, artigiani, contadini. Così avviene a Bruzzano sia in un giorno del settembre del 1568, sia il 3 febbraio 1582; in ambedue le giornate, Carlo Borromeo si presenta in abiti pontificali vicino al sagrato della chiesa, subito assistito dai nobili che portavano il baldacchino sotto il quale procedere verso l’interno del tempio. Qui l’alto prelato presiede alla funzione, dopo la qualche prende la parola per spiegare perché è lì. Si congeda verso le ore 21, per riprendere la mattina dopo con la messa davanti a una chiesa piena di gente, nuovo discorso, impartisce le cresime, l’assoluzione generale, mentre nel frattempo i suoi collaboratori, soprattutto gesuiti, erano già al lavoro da ore. Il libro di don Cazzani si sofferma sui dettagli della seconda visita, del 1582, ma riguardo la prima, del 1568, annota come il Borromeo avesse lasciato scritto che “la chiesa ha bisogno grandissimo di riparatione”. E ogni desiderio del cardinale è un ordine da eseguire con scrupolo.
Le visite cardinalizie post tridentine come queste non erano “toccata e fuga”, in specie nella diocesi milanese. C’era un’ispezione approfondita che proseguiva nei giorni seguenti, operativi i collaboratori del cardinale. Poiché le visite pastorali prima dei Borromeo erano rarissime, capitava di verificare che della chiesa non si avessero dati strutturali recenti, per cui il primo compito era iniziare con la misurazione in lungo e in largo del tempio, campanile e casa canonica compresi (se c’erano), si proseguiva con l’inventario dettagliato e la descrizione degli eventuali affreschi, segnalando i dipinti non in linea con i decreti tridentini, nel qual caso venivano coperti. Si controllava lo stato del cimitero, non sempre ottimale, si compilava un inventario di tutti gli oggetti sacri e non sacri posseduti dalla chiesa, tipo paramenti, suppellettili, ovviamente compreso quelli in oro e argento, libri sacri e non sacri, stando attenti che i primi fossero aggiornati; e ancora: controlli sullo stato dei vari altari e dei tabernacoli, su come erano stati redatti i registri, sia contabili, sia delle nascite, delle cresime e delle morti; controllo anche degli archivi.
Venivano ascoltate e verificate le lamentele, anche contro i parroci e i preti ausiliari, di cui si appurava la preparazione, la probità di vita, l’onestà. Puntuali gli accertamenti sulla riscossione delle decime, degli affitti dei terreni parrocchiali; poiché al seguito del cardinale spesso venivano chiamati notai ed esperti vari, non di rado tali ispezioni si concludevano avviando in sede cause civili o anche denunce contro chi fosse accusato di mancato impegno. Non sfuggivano ai controlli le Confraternite e le Opere Pie dedite alla beneficenza, alcune delle quali fondate proprio da Carlo Borromeo. Questa accurata, severa prassi instaurata dal cardinale nel XVI secolo ma proseguita fino ai giorni nostri, ha finito con lasciare nell’area milanese una tradizione di serietà e rigore amministrativo che ha caratterizzato la mentalità dei cittadini e delle loro istituzioni.
Demolizione e rifacimento della chiesa
Don Brocco, dopo la seconda visita di Carlo Borromeo, nella quale l’arcivescovo trovò tutto fatiscente come 14 anni prima, fondamentalmente perché i parroci non erano adatti a svolgere i gravosi compiti, o per anzianità o per impreparazione, viene nominato prevosto della pieve di Bruzzano a 32 anni. Pieno di energia, riuscirà a compiere quello che per un paio di secoli a nessun’altro prevosto riuscì: recuperare tutte le decime, dalla prima all’ultima, e dalla riscossione delle stesse, sulla quale investì tutto se stesso, trovare i fondi per demolire la chiesa della Beata Vergine Assunta di Bruzzano, “piena di crepe”, ricostruirla interamente ex novo, mattone per mattone e abbellirla con parecchi interventi extra. Se ne occupò fino al 1612, quando si dimise (non sappiamo per quale ragione). Nato in Valtellina nel 1558, studiò nel seminario di Milano, addottorandosi a Padova in diritto canonico e civile. Fu ordinato sacerdote da Carlo Borromeo in persona. Il 28 marzo del 1885 divenne ufficialmente prevosto. L’elenco delle cose fatte nei 27 anni di residenza è lunghissimo: campana nuova, tabernacolo restaurato, sacrestia nuova, nuovi confessionali. Don Brocco fece anche costruire le due cappelle della Maddalena e della Scola, due finestre (senza vetri), e poi pianete nuove, calice e pisside nuovi, libri e messali nuovi, tovaglie, camici, candelieri, vestiari e un mucchio di altre cose utili alle funzioni.
in lite con il card. Carlo
Poco dopo che Carlo Borromeo morì in odore di santità il 3 novembre 1584, don Brocco, che ancora non si era insediato a Bruzzano, annotò di non avere preso parte al cordoglio generale dei milanesi, anzi, corse subito a Roma per appellarsi contro una delibera dell’arcivescovo relativa a una lite con i gesuiti, a cui Carlo aveva dato ragione e torto a lui. Brocco, per nulla intimidito, scese a Roma 20 giorni dopo il decesso del potente prelato. Non è stato l’unico a ricorrere a Roma contro Carlo Borromeo. Come narra Marco Formentini in “La dominazione spagnuola in Lombardia”, edito nel 1881, anche il Senato di Milano vi aveva più volte fatto ricorso contro varie decisioni del Borromeo, vincendo fra l’altro la causa che vide i senatori opporsi a una sentenza terribile, emessa contro otto povere donne, accusate di essere “streghe”, come tali da mandare sul rogo per effetto di un giudizio del tribunale dell’Inquisizione controllato dal Borromeo stesso tramite gli “operativi” gesuiti, suoi stretti collaboratori. Don Cazzani, autore del libro sulla pieve di Bruzzano, nel capitolo riguardante don Brocco, ricorda il conflitto che oppose frontalmente il cardinale ai monaci Umiliati, poco inclini a seguire le nuove normative del Concilio di Trento. Cogliendo come significativo l’episodio dell’attentato subito dal cardinale da uno di loro, l’ordine degli Umiliati fu sciolto mentre gli ingenti beni furono confiscati, consegnandone una buona metà alla Compagnia di Gesù, totalmente incline ad eseguire i suoi ordini.
tre visite di Federico Borromeo
Don Brocco ricevette, il 1 febbraio 1604, anche la visita pastorale dell’arcivescovo Federico Borromeo, il “cardinale buono” del Manzoni che convertì l’Innominato. Questa volta, i collaboratori del cardinale annotarono le ottime condizioni del tempio. Il nipote di Carlo, Federigo, come lo chiama Manzoni, tornò a Bruzzano quando ormai Brocco non era più presente, il 5 ottobre 1616 e il 25 maggio 1627. Non solo la chiesa, con le sue entrate più sicure, è totalmente rinnovata, ma anche l’appannaggio del prevosto si consolida. Bruzzano da questo periodo in poi inizia a diventare una meta ambita per altri prevosti in altre pievi o prevosture, lasciate volentieri per occupare la nuova posizione. I prevosti destinati a Bruzzano sono tutti personaggi di cultura, laureati, studiosi, spesso avevano esercitato nel seminari come professori dei futuri sacerdoti. Alcuni cercarono di portare, come vedremo, l’arte della grande scuola lombarda nel tempio.
Ma qual era lo stato delle altre parrocchie della pieve bruzzanese?
le altre chiese della pieve
A spiegarlo è il successore di Brocco, Gerolamo Sartirana, laureato in teologia a Pavia, dal 1612 al 1629, l’anno prima che scoppiasse la peste “manzoniana”, il quale rendendosi conto delle buone condizioni della chiesa della Beata Vergine Assunta di Bruzzano, nella capopieve, si ricorda che in quanto prevosto della pieve è tenuto a svolgere nella stessa funzioni vicariali in nome dell’arcivescovo, al quale inviava le sue relazioni. Nel 1624 Sartirana compie dunque una visita vicariale che lo porta a ispezionare tutte le parrocchie della sua pieve. In ottemperanza al dettato tridentino, il prevosto chiede a tutti parroci che hanno una perpetua a servizio, di esibire l’autorizzazione; sente la gente in giro, in base alla quale verifica che i preti non sono chiacchierati. Le chiese che invece si segnalano perché più malandate e bisognose di riparazione sono quelle di Brusuglio e Pratocentenario. In ottimo stato la chiesa di Dergano (purtroppo demolita negli anni Cinquanta del XX sec.), dove allora era in corso la costruzione di otto cappelle. A Turro la chiesa è diventata troppo angusta per la piccola popolazione del borgo, per cui il curato locale progetta da tempo di farne una nuova, si spera a partire dalla primavera successiva. Anche l’oratorio si Santa Maria Nascente di Bruzzano avrebbe bisogno di restauri. Sartirana non manca di denunciare un altro prete, il rettore della chiesa di Sant’Eusebio in Milano, situata in via Brera (a cui il card. Federico teneva molto, ma fu demolita nel 1865), per la pretesa di ricevere una decima bruzzanese che invece spetterebbe a lui. Delle altre chiese della pieve, il Sartirana non parla, per cui o non le ha visitate o non presentavano problemi.
Come si vede, la pieve di Bruzzano con tutte le sue chiese non se la passava poi tanto male. Infatti, alcune chiese ottennero di emanciparsi e di diventare parrocchie autonome. Fu così per le chiese di Pratocentenaro, delle cascine Abbadesse, di Massazio (questo toponimo si è perso, ma dovette trattarsi di una chiesa non distante da Santa Maria alla Fontana). Le decime di Niguarda e Bresso ottennero anche queste col tempo l’autonomia parrocchiale. In pratica, alla fine restarono le decime di Affori, Brusuglio, Bruzzano e Novate. Furono abolite anche quelle con una legge liberale apposita del 1887, come avveniva in tutta Europa. Sarebbe stato il Regno d’Italia a provvedere al mantenimento dei preti e delle parrocchie. Oggi è l’8 per mille a provvedere.
opere d’arte di questo periodo
Nel corso del XVII secolo si ebbe la prevostura di don Cristoforo Bellino, dal 1663 al 1705 anno della morte, 40 anni di presenza nella pieve, la più longeva nella storia della chiesa bruzzanese. Anche lui come il Brocco si dette molto da fare per abbellire il tempio. Al Bellino si devono le balaustre “di marmo fino”, dipinti vari, il rifacimento del pavimento, l’ampiamento della cantoria dotata di organo; chiama bambini da educare al coro; rifà l’archivio e sistema molte altre cose. In vecchiaia non se ne va, come altri prima di lui, è però coadiuvato da due viceprevosti. Morì nel 1705 all’età di 82 anni. Al Bellino si deve l’altare policromo del 1666, con la porticina del tabernacolo in bronzo dorato raffigurante la cena di Emmaus, e le balaustre in pregiato marmo nero, sia quelle a conchiglia piena attualmente ai lati dell’altare maggiore, sia quelle con i putti in marmo bianco dell’altare della Madonna, che un tempo sorreggevano lo stemma gentilizio del Bellino, scalpellato via dai giacobini durante la Repubblica Cisalpina. Già don Brocco, oltre mezzo secolo prima aveva arredato le pareti con un affresco di scuola luinesca raffigurante la presentazione di Gesù al tempio, del 1595; purtroppo è andato perduto un secondo affresco, raffigurante il Crocifisso.
due ondate di peste a Bruzzano
All’epoca dei due Borromeo arcivescovi, vi furono due terrificanti epidemie di peste, una peggiore dell’altra. La prima è datata 1576, nota come la peste di San Carlo, la seconda 1530, nota come la peste manzoniana perché ampiamente e magistralmente descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi. A Bruzzano i morti del 1576 furono 88 a fronte di una popolazione che nei due anni precedenti contava intorno ai 310 residenti. I decessi, prima dell’epidemia, si contavano nell’ordine di una dozzina mediamente ogni anno. Nel 1530, con la popolazione del borgo aumentata fino a poco meno di 500 unità (per 82 nuclei famigliari), le cose andarono infinitamente peggio: iniziarono nel 1629 con 75 morti dovuti probabilmente più alla fame e alla denutrizione che precedettero l’esplosione della malattia vera e propria, provocata (come segnalato dal Manzoni) dalla discesa dei Lanzichenecchi. Nel 1530 i morti di Bruzzano, a partire dal mese di maggio, furono ben 170, concentrati nei mesi da luglio a ottobre. Drastico il calo nel 1631, con 19 decessi: l’epidemia era cessata. Di tutti aveva preso diligentemente nota il prevosto Pietro Francesco Regretto, rimasto immune, che di volta in volta segnava: “infetto di peste”, oppure “sospetto di peste”. Don Regretto cercava di portare i sacramenti a malati e moribondi, segnalando pietosamente come la gente tendesse a nascondere di essere stata contagiata, ricorrendo alle scuse più varie anche quando i bubboni neri apparivano visibili. Necessariamente, il prete evitava i funerali; i morti non venivano neppure portati al cimitero, erano sepolti praticamente sul luogo di morte.