SOMMARIO In una piccola chiesa che rischiò l’abbattimento per agevolare il percorso del Gamba de legn, la serie di dipinti dedicati al Battista apre una importante finestra sul Quattrocento lombardo, rimasto attaccato al post giottesco, attardandosi ad accogliere le nuove suggestioni fiorentine, nonostante la presenza a Milano di Bramante e Leonardo. Ma aprì la strada alla pittura realista che ebbe in Caravaggio, milanese per nascita, apprendistato e studi, la sua massima espressione (anche se non poté dipingere a Milano…)
di Roberto Schena Michele – Fotografie dei dipinti: Lino Aldi
in collaborazione con “il diciotto”
Caratteristica più unica che rara dell’universo rurale milanese, è promuovere l’arte pittorica, aggiungendo alle bellezze naturali preziosità culturali. A maggior gloria del lavoro o, se si vuole, dell’antropocene non aggressivo, nell’Ovest milanese sono gli oratori e le ville signorili ad assumersi il compito. Andrebbe studiato un percorso culturale e cicloturistico, comprendente comuni ed ex comuni attigui come Baggio, Assiano, Trenno e Settimo Milanese.

L’Oratorio di San Giovanni Battista, nella frazione di Cascine Olona di Settimo Milanese è uno dei santuari d’arte sparsi nel territorio. Fu voluto e finanziato dal nobile locale, Paolo Mantegazza, entrò in esercizio per il culto nel 1468 e già da quell’anno divenne sede ideale per realizzare un importante ciclo di affreschi impregnato ancora della maniera gotica internazionale, incluse attardate suggestioni giottesche nettamente riscontrabili. La chiesetta, per quanto minuscola (è tanto se entrano 50 persone), è dedicata a uno dei massimi santi della cristianità, Giovanni Battista, figura profetica molto rispettata, anche dal Corano e dai mussulmani. Il personaggio principale, cugino di Gesù, affettivamente un fratello, è talmente importante che di lui si celebra non soltanto la morte, ma anche la nascita, il 24 giugno e 27 dicembre, date coincidenti con i due solstizi.
Il Mantegazza, dedicando al Battista la chiesetta sapeva che avrebbe dovuto compiere ogni sforzo per renderla il più “grande” possibile. Come? Per mezzo dell’arte, celebrando con una serie di dipinti l’intera vita del cugino di sangue del Messia, una delle più conosciute e divulgate e, soprattutto, rappresentate da pittori e scultori. Giovanni ebbe il privilegio inesplicabile di battezzare Cristo, mentre la sua morte è uno dei martìri più considerevoli, con episodi altamente drammatici, tra la danza di Salomé e la testa tagliata consegnata su un piatto d’argento, ripresi da diversi scrittori. Il Battista, fondamentalmente, è un predicatore efficace e seguitissimo: aveva profetizzato l’imminente venuta di Gesù e costui ne ha così rispetto da chiedergli di essere battezzato, una pratica di purificazione rivolta agli ebrei desiderosi di tornare nella comunità religiosa dopo essersene allontanati per qualsiasi ragione. Pur non avendone bisogno, il Cristo sottolinea con enfasi quel gesto di apertura e rinnovamento. Ecco quindi che gli affreschi di Settimo Milanese raccontano i passaggi rilevanti della vita del Battista accanto a Cristo. La loro datazione copre un arco cronologico di 24 anni, dal 1468 al 1492, periodo in cui nell’area milanese e lombarda è stato riconosciuto l’influsso di Vincenzo Foppa. Notevoli, da un punto di vista artistico, in queste mura, sono considerati “L’annunciazione della vergine”, “La nascita del Battista” e “Il Giudizio Universale”. Ma altri sono interessanti per i motivi più diversi.

Come accade raramente di notare, la figura di Cristo è rappresentata due volte nella stessa cappella nella nudità completa, consuetudine non rara nell’arte di epoca medievale, a cui si pose definitivamente termine solo nella seconda metà del XVI secolo con le severe norme emanate dalla Controriforma al Concilio di Trento. Il battesimo di Gesù nell’oratorio di Settimo Milanese sorprende per il contrasto tra i soggetti: il Messia è nudo, senza perizoma (vedi fotografia in alto) in piedi nell’acqua del Giordano, mentre a fronte ha un Giovanni vestito di tutto punto nella classica tunica di pelle di cammello. Qui il nudo è materiale teologico, è manifestazione aperta di umiltà divina, il dio si presenta come egli stesso ha creato Adamo: il primo uomo è causa, nel contempo, del peccato originale da mondare col gesto del battesimo.
E non è l’unico Cristo nudo presente tra i dipinti nella cappella. Anche l’affresco della crocefissione, purtroppo in parte rovinato dall’umidità che assaliva prima dei restauri, mostra un Cristo privo di perizoma per ricordare come nella crocefissione, pena capitale “preferita” dai romani contro i ribelli, gli sfortunati venissero appesi in quel modo al fine di degradare ulteriormente la condizione del condannato. Anche qui prevale l’estremo atto di umiltà da parte del Creatore. Sono tutte modalità di rappresentazioni che non potrebbero essere concepite nemmeno oggi. Tutta questa libertà di comunicazione consentita nel mondo artistico fu possibile, come accennato, solo fino al concilio di Trento, quando fu emanata una serie di norme molto rigide: solo il Caravaggio si prendeva il lusso di violarle sistematicamente. La nudità totale del Cristo, anche se sarebbe inconcepibile, non era certo inconsueta nel periodo medievale e rinascimentale: ci sono sculture famose di Donatello e Michelangelo a testimoniarlo. Con la Controriforma si invitarono le chiese a coprirle tramite fogliame (famose le foglie di fico), o addirittura martellando via i genitali dalle sculture, o ricorrendo a drappeggi, uno degli elementi pittorici più distintivi del barocco. Ci penserà l’Illuminismo a proporle di nuovo.

La cosa curiosa è che nel 1572, il 13 gennaio, giunge in visita pastorale a Settimo Milanese il Cardinale arcivescovo Carlo Borromeo, colui che le norme restrittive emanate dal Concilio di Trento aveva voluto e scritto, e nel 1604, il 22 ottobre arriva l’arcivescovo Federico Borromeo, suoi nipote e continuatore, personaggio manzoniano. Gli affreschi di Settimo Milanese sono stati salvati dagli “aggiustamenti” della Controriforma? Probabilmente non gli sono stati mostrati, in ogni caso questo dimostra quanto la proverbiale severità dei Borromeo, i quali imposero un vero e proprio stato di polizia a Milano allo scopo di prevenire e stroncare sul nascere qualsiasi eresia, si fermasse appena fuori dalle Mura Spagnole. Uno degli esperti al seguito di Carlo Borromeo, anzi, annota: “In le Cassine d’Arona vi è una chiesa picola, ma assai bella”.
Il gotico internazionale, stile elaborato nel corso del Trecento, è definito da Ernst Gombrich (1909-2001) “più volto al raffinato che al grandioso”, produce un mondo da eccellente illustrazione delle favole, dove tutti sono buoni (eccetto i diavoli) e devoti. Aveva in Milano e Lombardia uno dei centri più significativi prima che giungessero i fiorentini a rendere le scene intensamente drammatiche e realistiche, imponendo una crescente perfezione formale. Qui a Settimo i dipinti sono invece più informali, meno stereotipati e il pittore (o i pittori) non è certo tra i massimi del 400, ma è pur sempre tra il meglio che circolasse nei dintorni di Milano. Alcuni studiosi propongono di attribuire gli affreschi all’autore delle pitture di San Cristoforo sul Naviglio Grande, accentuando così la parentela, già architettonica, tra le due chiese. Anche questi affreschi, allora, sarebbero opera di Bassanolus de Coaretiis.
Gli affreschi di Settimo sono ancora molto legati allo stile trecentesco, l’arte lombarda si attarda a ripetere lo stile gotico internazionale invece di abbracciare le novità fiorentine di Leonardo e di Bramanti già operanti a Milano in quegli anni. Il caposcuola lombardo è il bresciano Vincenzo Foppa (1427-1515), un nome a cui talvolta sono avvicinati gli affreschi di Settimo Milanese. Leonardo e Bramante iniziano a essere influenti a Milano solo intorno alla metà degli anni 80 del XV secolo. In parallelo, era aperta la strada dell’autonomia artistica lombarda, porterà a una evoluzione propria, in definitiva al Caravaggio, meno conformista e piegata ai voleri del Cardinale santo, poliziotto ma pure spietato dittatore. Pochi ricordano che il Merisi è nato a Milano, qui ha studiato a bottega da Simone Peterzano, unico maestro, e ha iniziato a dipingere a Milano (sebbene non si sappia dove), emigrato poi a Roma per non sentirsi limitato dalle rigidezze borromaiche. Ecco quindi che gli affreschi di Settimo sono una testimonianza importante di questa scuola autonoma lombarda, un’avventura descritta Roberto Longhi, il maggior critico del secolo.

L’Oratorio oggi
Bibliografia