SOMMARIO L’oratorio di Macconago, XVII secolo, è un esempio particolare dell’architettura postconciliare, quella più legata alle istruzioni impartite da Carlo e Federico Borromeo. La Soprintendenza alle Belle Arti del Mibac è intervenuta nel 2020 per segnalare che si tratta di un monumento importante, sottoponendo l’edifico a vincoli di paesaggio insieme al castello e al borgo rurale circostante. Purtroppo è in precarie conzioni: umidità e piante rampicanti lo stanno letteralmente spaccando, mentre il progetto di recupero, della Fondazione del Vecchio, tarda a essere presentato
di Roberto Schena
L’ORATORIO DI SAN PAOLO DEL 1623
Con un provvedimento della Soprintendenza, datato 20 luglio 2020, l’intera area di Macconago Grande, comprendente la chiesa di San Paolo, il castello dei Visconti-Pusterla (vedi QUI), quest’ultimo peraltro già precedentemente registrato come monumento nazionale, e il complesso rurale attiguo, è stata sottoposta alla tutela paesistica dello Stato. In altri termini, si sono estese le superfici vincolate al paesaggio monumentale, rafforzando la visione dell’intervento. Con un provvedimento successivo, la stessa Soprintendenza, nella persona della responsabile Antonella Ranaldi bloccava l’iter della tutela avviata da due suoi esperti, ma l’indirizzo e la considerazione dei funzionari del Ministero nei riguardi di Macconago era netto e ormai addirittura conclamato. L’antico borgo castellato è un’emergenza preziosa per la città.
I vincoli delle Belle Arti comportano per ogni progetto di ristrutturazione il consenso della Soprintendenza. In altri termini, non potrebbero essere alterati né gli edifici presenti né esserne costruiti di nuovi, non sarebbe consentito prevaricare il paesaggio del borgo con altre iniziative edilizie, come peraltro – spiega la Soprintendenza nella sua relazione – già accaduto in passato nelle stessa area con la costruzione dello IEO. Mentre per il castello la Soprintendenza non ha fatto altro che rinnovare e ampliare i vincoli già imposti fin dal 1982, la novità del 2020 è rappresentata dalla tutela estesa all’oratorio di San Paolo, il quale – spiegano i ricercatori – rappresenta un monumento di grande interesse, essendo uno dei primi esempi di edificio religioso costruito secondo i dettami della Controriforma redatti dal suo maggiore ispiratore, Carlo Borromeo. Nella chiesa di Macconago si può ammirare un barocco molto semplificato: quello imposto dalle richieste dell’arcivescovo.
Basti confrontare la facciata di questa chiesa con quella dell’oratorio di Santa Maria Nascente presso la Cascina Guardia di Sotto di Corsico, sul naviglio Grande, (vedi le fotografie qui sotto) costruita solo l’anno precedente, nel 1622 (e che versa purtroppo in pessime condizioni): si noterà come le molte decorazioni ancora presenti sulla facciata della prima siano state quasi come spazzate via nella seconda. Questo non dipende dal maggiore o minore stanziamento di denaro per la costruzione dei due edifici, ma dal rispetto delle Instructiones imposte dall’arcivescovo Carlo Borromeo. La chiesa – scrivono gli esperti della Soprintendenza – riveste “interesse storico artistico in quanto è esempio significativo di edificio religioso di committenza privata, costruito secondo le Instructiones dell’arcivescovo Carlo Borromeo, che si collocano temporalmente nell’ambito della riforma tridentina e che continuano a essere seguite durante l’episcopato del cardinale Federico Borromeo nei primi decenni del Seicento. In particolare la forma dell’edificio si attiene alle nuove esigenze del culto, che prevedono uno stretto rapporto fra la semplicità del linguaggio formale dell’architettura e dell’arte e l’uso dello spazio sacro, specie negli aspetti simbolici legati alla liturgia”.
PERCHÉ QUESTO ORATORIO È COSÌ IMPORTANTE
Dalla relazione storico-artistica della Soprintendenza sul piccolo tempio
Le informazioni che trovate in questo capitolo sono tratte dalla relazione tecnica della Soprintendenza nell’avviare il “procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale particolarmente importante”, del luglio 2020. La ricerca storica è stata condotta dagli architetti Margherita Cerri e Andrea Frigo, responsabile del procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale particolarmente importante e visionata dal Soprintendente Antonella Ranaldi.
La costruzione dell’oratorio, o chiesa di San Paolo, detta anche di San Carlo, a Macconago (i casi di duplice denominazione sono più frequenti di quanto si possa credere), fu conclusa nel 1623, in attuazione di un legato testamentario di Guido Mazenta, primogenito del senatore Ludovico. È il periodo della piena dominazione spagnola, immerso nella Controriforma ispirata dall’arcivescovo Carlo Borromeo e portata avanti a Milano dal cugino Federico. Probabilmente, nella stessa area anche se non nello stesso punto, esisteva una precedente chiesa, ne parla Goffredo da Bussero nel suo Liber notitiae sanctorum Mediolani (1289): riferisce che si trovava
a Macconago una ecclesia sancti petri, ossia dedicata a San Pietro.
La nuova chiesa del 1623 fu invece dedicata a San Paolo, cui Guido Mazenta era particolarmente devoto. Con la peste del 1630, nota alla letteratura come ‘manzoniana’, è possibile che l’oratorio sia stato dedicato anche a San Carlo Borromeo: l’arcivescovo si era prodigato nell’assistenza materiale e spirituale della popolazione mobilitando fortemente la diocesi durante la precedente epidemia, datata 1576-1577. Le visite pastorali del XVIII secolo e il catasto teresiano riportano sempre la doppia dedicazione.
Nella edificazione di questo luogo di culto saranno impegnati sia i figli di Guido Mazenta che il fratello Alessandro. Quest’ultimo è una figura di spicco della
chiesa ambrosiana guidata in quel periodo dal cardinale Federico Borromeo, cugino di Carlo, dichiarato santo nel 1610, appena 13 anni prima del completamento della chiesa di Macconago.
Alessandro Mazenta, sottolinea la relazione: “[…] è un riconosciuto cultore d’architettura e d’arte; interviene direttamente – approvando, modificando o correggendo – nella progettazione di diversi oratori realizzati nella prima metà del XVII secolo nel territorio della diocesi di Milano, dimostra do altresì grande familiarità in materia. Oltre a Macconago, lo troviamo impegnato ad Aicurzio, Dairago, Chignolo Po, Gorgonzola e Treviglio. Egli, a ulteriore conferma delle sue riconosciute capacità, è presente alla fondazione dell’Accademia del Disegno voluta dal Cardinal Federico nel 1620″. Nel fondo Spedizioni diverse dell’Archivio Storico
Diocesano di Milano è custodita una relazione favorevole alla edificazione della nuova chiesa di Macconago dell’arcidiacono Malatesta e l’approvazione/concessione per benedire l’oratorio, datate 16 giugno 1623.
L’edificio, annota la Soprintendenza, oggi: “[…] pur degradato e saccheggiato negli arredi interni, va dunque inteso nel più ampio panorama della cultura architettonica della Lombardia del tempo, che si dimostra non solo perfettamente aggiornata grazie ai continui scambi con l’Italia centrale, ma è tale da produrre e per certi versi codificare la reinterpretazione nell’utilizzo degli ordini classici.”
La struttura
“[San Paolo in Macconago] ben esemplifica l’uso di questo linguaggio. La facciata risulta divisa in due parti e termina in un frontone triangolare. Nella parte inferiore si apre l’alto e stretto portone, incorniciato e sovrastato da un timpano triangolare; ai lati dell’ingresso si trovano due nicchie, forse un tempo ospitanti statue. Nella parte superiore un’ampia finestra s’apre in asse col sottostante ingresso. La tripartizione verticale è realizzata tramite lesene, che includono sia le aperture, sia le specchiature. Lungo i fianchi scompare la suddivisione in orizzontale, mentre quella verticale è scandita da cinque campi, due più ampi e contenenti ciascuno due finestre sovrapposte, e tre più stretti”. La bellissima relazione del Ministero (atto pubblico che invitiamo i più curiosi a leggere) prosegue sottolineando come questa architettura rispetti appieno il modello che Carlo Borromeo volle imporre agli edifici di culto.
In anni successivi al presbiterio viene annessa una sacrestia sul lato sud, anche questa nel pieno rispetto della regola borromaica, che imponeva la realizzazione di un apposito ambiente destinato alla custodia dei paramenti e delle suppellettili sacre.
Il campanile
L’alto campanile, che spicca affiancato al lato nord dell’aula, venne costruito in epoca più recente, probabilmente durante la seconda metà del XIX secolo.
L’assenza di una torre campanaria nell’edificio degli inizi del XVII secolo – dove forse esisteva però un piccolo campaniletto a vela – risponde con coerenza alle già citate Instructiones del Borromeo e, più in particolare, quelle relative agli edifici di culto non parrocchiali. Il campanile risulta rilevato nella mappa del Catasto Lombardo Veneto redatto nel 1867-1887 e in quella successiva del Cessato Catasto nel 1897-1901, realizzato per le mutate funzioni liturgico-pastorali assunte dall’oratorio, che dagli ultimi decenni dell’Ottocento agli anni Quaranta del XX secolo, quando era ancora officiato, rappresentava il fulcro della vita religiosa dell’abitato rurale di Macconago.
L’interno e i preziosi arredi scomparsi
Dell’apparato decorativo interno restano oggi le lesene che sostengono la trabeazione che corre lungo tutto il perimetro. Resta anche la pavimentazione in cotto a spina di pesce. In una foto in possesso della Soprintendenza, datata 1925-1929, si vedono ancora gli arredi sacri dell’oratorio ormai scomparsi: la grande pala d’altare con cornice di legno dipinto sulla parete di fondo del presbiterio, il crocefisso trionfale che riporta l’iscrizione CHRISTUS VINCIT REGNAT IMPERAT, il confessionale sulla parete di sinistra, che la storiografia data 1671. Tutto scomparso, spogliato, depredato, finito chissà dove. “Lo stato di forte degrado in cui oggi versa l’edificio – conclude la relazione – denota decenni di abbandono e di incuria. Alcune fotografie degli anni Venti-Trenta del secolo scorso mostrano già il degrado degli intonaci […]. Attualmente il degrado è in massima parte legato alle abbondanti infiltrazioni provenienti dalla copertura ammalorata, dalla risalita capillare dell’acqua dal terreno, da alcune lesioni in corrispondenza dell’arco trionfale, dalla notevole perdita delle superfici intonacate, da una vegetazione rampicante”.