SOMMARIO Il Lorenteggio, compreso il quartiere che prende il nome di Via Giambellino, è la grande vittima di una sistematica distruzione deliberata ai danni dell’eredità culturale. Antico borgo di Corsico, fu staccato nel 1923 e annesso a Milano. Fino al 1841 il Lorenteggio era comune a sé e comprendeva molti stupendi gruppi cascinali. I loro nomi: Arzaga, Restocco, Filippona, Corba, San Protaso, tutti impietosamente abbattuti, lasciando senza identità, senza storia, senza valori, un mega quartiere di oltre 100mila abitanti. Ecco le loro immagini. Equivale a un genocidio culturale
di Gabriele Pagani
Dell’antico Comune di Lorenteggio il tempo ci lascia pochissime testimonianze rilevanti, tra cui un edificio nobile conosciuto come Palazzotto, in cui era insediato l’organo amministrativo del borgo, la necropoli di popolazioni originarie e sconosciute (in area via Tolstoj), un oratorio del IX secolo, un vetusto scaffale presso la chiesa di S. Vittore, carico d’anni e di brogliacci, con pergamene e incartamenti, ricchi di storia e di chissà quante altre meravigliose e interessanti notizie. Ma il Lorenteggio è ricordato soprattutto per la straordinaria rete di complessi cascinali, purtroppo tutti abbattuti. E per una disgrazia. Il 21 marzo 1951, 14 bambini, riparatisi a ridosso di un muro durante un furioso temporale, crollò loro addosso uccidendoli. La notizia attraversò lacerante e rapida l’intera città [1].
Le prime notizie del Comune di Lorenteggio risalgono al 1751 [2] ; non escludono ovviamente lo sia stato anche precedentemente, in presenza di documenti da reperire e che lo attestino. Il Comune comprendeva le cascine e frazioni di: Travaglia, Molinetto, Gesiolo di Robarello. Una sessantina d’anni dopo, nel 1808, il Comune di Lorenteggio viene soppresso e incluso nel Circondario esterno del Comune di Milano, ma poi, secondo quanto disposto dal Compartimento territoriale delle province lombarde del regno Lombardo Veneto, nel 1816, il Comune di Lorenteggio è ricostituito e, successivamente, con dispaccio governativo del 15 agosto 1841 il Comune di Lorenteggio fu definitivamente soppresso e aggregato al Comune di Corsico, per avere poi una definitiva configurazione nel 1923 con un nuovo assetto che prevedeva parzialmente l’aggregazione a Milano, con una parte del territorio – le cascine Travaglia, Molinetto e Chiesuolo di Robarello – lasciato a Corsico [3].
Il Palazzotto, tutelato tra i beni culturali e del paesaggio
Il Palazzotto è una struttura signorile, costituisce un gioiello architettonico, poco visibile a motivo della posizione disassata rispetto a via Lorenteggio – civico 251- ed è vincolato dal Ministero per i Beni e le Attivita` Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano, sottoposto a tutela quale bene nazionale [4]. Non giova la sua posizione, soffocata tra un distributore di benzina e un grande palazzo di una società telefonica, nonché il disassamento, anche planimetrico, di alcuni metri rispetto all’asse stradale della via Lorenteggio.
Il Palazzotto ripropone la tradizione della ricostruzione su una precedente fortificazione e sulla sua funzione di edificio religioso come monastero, prima femminile e poi maschile, con una antica apertura con botola che collega, attraverso una galleria, il complesso al castello sforzesco di Milano, confermata dall’ultimo proprietario e al quale dobbiamo la descrizione da cui riprendiamo uno stralcio: “…caratteristica e spaziosa cascina, sorta in parte sulle fondamenta di un antico fortino cinquecentesco di cui si sono trovati avanzi mentre si eseguivano lavori di restauro. La villa padronale – conosciuta ancora oggi come palazzotto, unica testimonianza rimasta ad oggi – venne più tardi, nel XVII secolo, quando i Durini entrarono in possesso del fondo già appartenuto ai Corio. (…). All’angolo destro vi è il palazzotto in cotto con decorazioni di semplici riquadri. Il portale è in granito sagomato; sopra occhieggia un balconcino in ferro all’andalusa. All’interno: porticato a terreno con tre arcate e colonne binate di recente collocazione. Al piano superiore, le ampie campiture tra finestra e finestra hanno semplici riquadri in cotto. Questa parte interna a terreno ha una forma poligonale caratteristica perché gli angoli sono tutti smussati e ornati di semplici riquadri. Sotto il porticato fa mostra un ornatissimo cancello di ferro. Gli ambienti sono vasti e coperti da giuochi di volte a velette ed a crociera. Lo scalone, con rampe ellittiche che porta ai locali soffittati a cassettoni, è di una imponenza inusitata per una costruzione del genere. Non manca anche il piccolo oratorio”. La sede del Comune si insediava all’interno di un ampio spazio territoriale costituito da una campagna ubertosa, ricchissima di fontanili, caratterizzata da grandi e a volte elegantissimi cascinali.
Lo sviluppo edilizio che ha contraddistinto quest’ultimo secolo ha sacrificato sull’altare dello sviluppo industriale e residenziale questa tipicità. Di alcune cascine rimane traccia nei toponimi e poco più. Tra queste l’oratorio di S. Protaso, la tipica chiesetta all’inizio di via Lorenteggio, è quanto rimane della cascina di S. Protaso che dava fronte sulla vicina via Tolstoi, ampia strada che conduceva alla cascina Restocco dove ora sorge il complesso Don Orione. Di altre non è rimasto nemmeno un mattone, come Cascina Corba, con l’oratorio dei due campanili e una grande colombaia
Cascina Arzaga, demolita di notte
La cascina Arzaga (di cui si conserva il toponimo nella relativa via) poteva essere considerata in assoluto una delle più belle cascine del territorio milanese. La maestosa cascina fu demolita nottetempo negli anni ’60 tra le vibrate proteste della popolazione. La cascina faceva parte dell’esteso latifondo denominato di Lorentecchio, di proprietà della soppressa Abbazia di S. Vittore al Corpo.
Analoga pressione fu disposta per il piccolo edificio religioso – oratorio di S. Protaso – presso la omologa cascina, posta all’inizio di via Lorenteggio. Così isolato, così beffardamente ostile a cedere il passo a una pur evidente strozzatura del traffico, sembra impersonare il simbolo di una ferrea volontà della popolazione in difesa, a volte superbamente premiata, di una propria connotazione da non condannare, sempre e comunque, in nome di un progresso che non sempre è tale. Per conoscere la storia dell’oratorio San Protaso cliccare QUI.
Anni 50, il Decanato del Giambellino
In campo religioso, mentre avveniva la moria delle chiese storiche tra i palazzi in costruzione, i sentieri, non ancora strade, portavano alle costruende parrocchie, la prima delle quali, in via Tito Vignoli, fu quella di San Vito, del 1937 ma terminata solo nel 2012. Cui seguirono progressivamente le parrocchie di S. Leonardo Murialdo, del 1940, di Don Orione, del 1953, di S. Giovanni Battista alla Creta, del 1958, del S. Curato d’Ars, 1961, dell’Immacolata Concezione, del 1963 in piazza Frattini, dei S.S. Patroni d’Italia del 1964. Costituiscono un vero e proprio decanato, il Decanato del Giambellino, in sostituzione, per la quasi totalità, della Pieve, istituto plebano soppresso con Decreto arcivescovile n. 1321/ 71 del 13 giugno 1971.
Briganti nelle cascine del Lorenteggio
L’argomento del brigantaggio sembra essere molto lontano e persistente per lo più nelle regioni del sud della penisola, piuttosto che nel nord, ma il fenomeno, molto articolato, era diffuso e ha variamente interessato i borghi nel passato. Nel milanese ebbe grande notorietà una banda di 85 briganti che infestò il bosco della Merlata (area Garegnano Musocco) e altre zone, in particolare il Lorenteggio come vedremo, catturati e processati il 28 aprile 1566. Dal processo, presieduto dal capitano del Castello, emblematicamente riprendiamo qualche stralcio che ci permette di capire come veniva amministrata la giustizia. Risponde il capo dei briganti:
“… e più dico l’anno 1565, nel mese di settembre, la vigilia di S. Matteo circa mezz’ora di notte a Lorenteggio fuori di Porta Vercellina trovassimo quattro di que’ Frati, che vanno cercando per S. Bovo e S. Bernardo, i quali avevano duoi Asini carichi di Formento, e Segale, ed io ero in compagnia di Battista mio fratello, Battista Scorlino, Gasparino, il Trentuno ed il Gagietta, e così viddi da lontano venire questi benedetti Frati, o Preti, che siano e dissi, andiamo un poco incontro, lasciamoli passare, poi torneremo indietro e staremo di dietro di loro e così facessimo, e quando fossimo contro di loro, Gasparino e il Trentuno gli dissero: Monsignori, avete fatto buon raccolto? Ed uno di loro rispose: che cosa avete voi a cercare il fatto nostro? Non è cosa da uomo da bene a cercare li fatti altrui; gli fu risposto, io voglio cercare perché voglio li danari, che avete guadagnati a dire l’Orazione per me, ed uno di detti Preti rispose adirato: si daremo su la testa, quando pensarete di pigliarne il secondo sangue (denari, dal detto toscano “i denari sono il secondo sangue” N.d.A.) e mio fratello con gli altri furono alla vita delli detti Preti con l’armi d’aste, e mezze picche, e così gli ammazzassimo tutti, poi li tirassimo in un Bosco, qual è dimandato il Bosco della Cerla, ch’è poco lontano da Lorenteggio, e gli spogliassimo, e trovassimo ad uno quarantacinque scudi d’oro, e ventiquattro quarti di scudi, dieci reali, ed altra moneta: all’altro gli trovassimo cinquanta scudi d’oro, e dodici mezzi scudi d’argento (…) e pigliassimo li suoi vestiti per l’Imagine di S. Bovo, e S. Bernardo, con i libri, quali dicevano dove andavano ogni anno, dove erano stati, e così noi si vestissimo con gli Abiti di detti Preti, ed andassimo in alquanti luoghi, dove loro non erano stati, e ne avessimo assai più di due mesi continovi, cioè di Ottobre, e Novembre, e facessimo raccolta di alquanti denari (…) e quando io entravo in qualche Cassina andavo alla volta della Stalla, e m’inginocchiavo, e pigliavo in mano il Sigillo di San Bovo, dicendo queste parole Io sono dell’autorità di San Bovo, che per diversità, e disgrazia fuori delle Stalla non si muova mai, voglio dire divotamente quest’Orazione, e pregare San Bovo, che vi dia molteplicità di questo bestiame, e così facessimo raccolta di buone elemosine, e stavamo allegramente.”
Pirati sul naviglio
Anche i navigli furono interessati dal brigantaggio, come attestano severe grida del XVI secolo che, nello specifico, interessano il Naviglio della Martesana ma che contemplano l’intero sistema dei canali navigabili. Dove circolano merci, corrieri, mercanti, attività economiche di ogni genere, ben presto giungono mendicanti, oziosi, veri o falsi pellegrini, zingari, maghi, ciarlatani, recitatori di commedie, buffoni, saltimbanchi, fuorusciti. E, naturalmente, nell’epoca del disordine per eccellenza, i briganti. Ma mentre i vagabondi, gli oziosi, gli emarginati e i balordi di piccolo cabotaggio vivono di espedienti, piccole truffe e furti, una banda di corsari, autentici predoni del naviglio, si danno all’assalto delle navi, non fermandosi davanti a nessun tipo di resistenza, compiendo rapine e omicidi.
Verso la fine del 1500 e inizio 1600 il fenomeno ha assunto una tale dimensione da rendere necessaria una Legge che vieta addirittura la navigazione sul canale di notte. Gli omicidi, la “depredatione delle navi”, lo “spogliamento” dei viandanti, ormai sono incontrollabili. Il 6 novembre 1638 il Governatore e Capitano generale dello Stato di Milano, Don Diego Felippez de Guzman (marchese di Leganes e del Consiglio di Stato di Sua Maestà Filippo IV di Spagna) emette una grida (ASMi, Acque p.a. 8826) che prevede pene severissime, così come le misure e i provvedimenti difensivi da porre in atto. Si devono tenere “le guardie continuamente sopra li campanilli di giorno e di notte”. L’obbligo vale per tutte le comunità che superino i 50 fuochi, ovvero le 50 famiglie. Nei nuclei con meno abitanti è obbligatorio essere “pronti e vigilanti” perché prendano le armi e accorrano in aiuto.
I briganti, sorpresi in fragrante, possono essere ammazzati impunemente (avendone in premio le spoglie e la terza parte dei loro beni e possono essere denunciati da altri banditi avendo, questi ultimi, particolari agevolazioni, compreso la liberazione di sé stesso.
“E per rispetto delli Portinari, e Barcaruoli, che transiteranno scientemente tali banditi fugitivi, & infestanti, vuole S. E. che incorrino la pena della vita, e confiscatione de beni, e caso che fossero forzati a passarli, debbano subito notificarli all’Officio più vicino, sotto la medesima pena, qual Officiale sia tenuto darne subito parte al maggior Magistrato di quella Provincia, perche possa procedere contro delinquenti conforme à giustitia (…) Prohibisce S. E. il poter navigare di notte per il Naviglio di Martesana, quando nelle barche, ò presso le persone, che saranno in esse, si troveranno cose preciose, sotto pena alli Padroni della perdita di esse, & i Barcaruoli, havendone notitia della perdita delle barche, & di trè tratti di corda in publico. A quest’effetto si concede à gli homini di dette Communità il tener in casa le armi à loro prohibite, (eccettuati gli archibugi da ruota) perché nell’occasioni se ne possano servire (El Marques de Leganes. V.Ronquillus. In Milano alli 6 novembre 1638).”
Ove si consideri la durata del tragitto di otto ore, per raggiungere il capoluogo lombardo, questi battelli viaggiavano nella campagna milanese in piena notte. I tempi dovevano essere, quindi, molto più sicuri garantendo al “barchett de Vaver” e al più celebre “barchett de Boffalora” del Naviglio Grande, quella sicurezza indispensabile alla flotta dei barchetti-corriera, impegnati, fino a pochi decenni fa, nel trasporto persone per la antica capitale del Ducato. Sono brevi stralci di una storia nobile e di storie minori dell’antico Comune di Lorenteggio che sopravvive, ora, nel toponimo e nell’auspicato futuro di approfondimenti, consentiti dall’archeologia e dall’archivio di S. Vittore al Corpo [5].
Note
ASMi sta per Archivio di Stato di Milano, cui segue n. di cartella.
[1]“Era il 21 marzo 1951 e si diffondeva ovunque la terribile notizia che al Lorenteggio il muro di cinta del terreno delle suore era crollato sotto l’impeto di fortissime raffiche di vento, seppellendo sotto il suo formidabile peso molte bambine appena uscite dallo Istituto Devota Maculan. Di esse 14 venivano estratte senza vita”. (AA. VV. La pagina del dolore, in Notiziario-Il Lorenteggio in festa, ed. Parrocchia, 1960, p. 45.
[2] ASMi, Catasto, Cartelle 3023-3074.
[3] ASMi, Catasto, c. 756. Prospetto delle aggregazioni di Comuni della provincia di Milano unificatesi dalla notificazione governativa 12 febbraio 1816 e attivate il primo gennaio 1842.
[4] Tutela ai sensi della Seconda parte del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, in aggiunta quanto disposto dall’art. 5 D. Lgs. 490/99 (…), è catalogato: Palazzotto seicentesco già Durini di Monza, Via Lorenteggio 251 angolo Via P. Giordani, data provvedimento 23-7-1984, progressivo archivio vincoli 619, catasto foglio 505 mappali 22-18-13-16-19- 20-24.
[5] Note e ricerche storiche riprese da AA. VV., Briganti nelle terre del Ducato, Edlin , 2001 e Pagani G., L’antico Comune di Lorenteggio, New Press 2011, rist. Unicopli 2022.