SOMMARIO Nel territorio di Garegnano, che dal 1869 al 1923 è stato frazione di Musocco, l’anno di grazia 1349 nacque la Certosa di Milano, la stessa che dà il nome al grande viale e alla zona circostante. Era situata ai margini del Bosco della Merlata, esteso quanto la Milano medievale, dove si rifugiavano banditi alla Robin Hood. Da quell’anno, una enorme porzione di territorio fu egregiamente amministrato dai monaci certosini, che lo trasformarono una terra d’eccellenza…
di Roberto Gariboldi
Garegnano compare ufficialmente come toponimo per la prima volta in un documento del 1012 come “Galegnano”. L’origine probabile è da ascriversi al nome proprio latino Garenius. Nell’area milanese vi sono altri due luoghi che portano la medesima denominazione: il primo è nei pressi dell’antico comune di Baggio (via Bisceglie e il secondo si trovava dove oggi sorge la chiesa dell’Incoronata in corso Garibaldi a Milano.
1. Il bosco della Merlata e i primi insediamenti
L’insediamento di Garegnano era sito qualche chilometro a nord- ovest fuori dalle mura cittadine, sulla strada che portava verso Varese. Buona parte del territorio era occupato da un’area boschiva nota come Bosco della Merlata (in alcune antiche carte figura come Bosco Gruana o Bosco della Madonna del Bosco), che in epoca medioevale e rinascimentale era tristemente noto in quanto frequentato da bande di briganti che derubavano chi attraversava quei luoghi. Famosa per le sue imprese criminali fu quella dei banditi Giacomo Legorino e Battista Sgorlino, attiva intorno alla metà del XVI secolo.
Nella Corografia d’Italia di Giovanni Battista Rampoldi, edita a Milano nel 1833, così viene descritto il Bosco della Merlata: “Ampia foresta di Lombardia, che a poco a poco si formò ed ampliossi negli infelici secoli del Medio Evo, e dalla parte di borea e ponente quasi circuiva Milano alla distanza di tre miglia. Le micidiali guerre che ebbero luogo nei dintorni di quella città scemandone la popolazione, e facendo rifuggire i superstiti abitanti, diedero origine a quell’estesa boscaglia, che poscia sotto l’avaro e neghittoso governo spagnolo divenne l’asilo di numerose bande di assassini. Un migliore governo e la ognor crescente popolazione rimossero quegli incomodi ospiti, ed appena di quell’ampia boscaglia se ne veggono i residui, rimanendone però il nome ai coltivati terreni ed ai numerosi casali che ovunque vi sorgono.”
Nel 1535 Milano passò sotto il dominio spagnolo ed i nuovi governanti, su pressante richiesta dei milanesi, vollero porre fine al tremendo flagello che mieteva vittime sia tra i religiosi che i laici. Nel 1564 il governatore spagnolo di Milano don Gabriel de la Cueva, terzo duca di Albuquerque, “per difendere le vite e gli averi degli onesti cittadini e per estirpar ed estinguere questa peste”, emise una serie di grida, che si ripeterono per tutto il periodo del suo governatorato, a cui fece seguire l’intervento dell’esercito di stanza al Castello Sforzesco. Migliaia di soldati circondarono il Bosco della Merlata, battendolo a tappeto, catturando numerosi briganti, o presunti tali; nel giro di due anni, spesso con processi sommari, molti di essi furono giustiziati.
La piaga dei malviventi era particolarmente sentita nel milanese. Il cronista Gaspare Bugatti domenicano, nel 1570, pubblica un libro dal titolo: “Historia universale nella quale con ogni candidezza di verità si racconta brevemente, e bell’ordine tutto quello ch’è successo dal principio del mondo fino all’anno 1569” e dedica un intero capitolo alla questione: “Assassini nel Stato di Milano nel 1566”. Fra gli altri particolari annota: “…ogni settimana se ne fanno brutti ma giusti spettacoli, impiccandogli e strascinandogli per la città in coda di cavalli.”
Il Bosco della Merlata era di notevoli dimensioni; nella “Carta dei dintorni di Milano entro un raggio di 5 miglia”, pubblicata nel 1600 a cura di Giovanni Battista Clarici (Claricio in altre fonti), appariva ancora abbastanza esteso. L’ambiente era ricco di fauna selvatica, non mancavano anche i lupi, a proposito dei quali si ricorda una caccia alla quale partecipò il re di Spagna Filippo IV nel 1634, quando, insieme al fratello Ferdinando, arcivescovo di Toledo, fu ospitato dai monaci certosini nella loro Certosa a Garegnano. L’ultimo lupo nel nostro territorio venne abbattuto il 18 settembre 1792, dopo che aveva aggredito e ucciso o ferito alcuni bambini nella zona fra la parrocchia di san Pietro in Sala e Boldinasco.
2. Zona ricca di fontanili
L’attività agricola nella zona era intensa e diversificata, favorita dalla presenza di numerose risorgive che assicuravano acqua in abbondanza in tutte le stagioni. I fontanili, siti nel territorio di Garegnano e ricordati nelle cronache più antiche, portavano il nome di: Fontana, Monteretto, Quartanasca, Prato Poreto, Roncavazzo e del Bosco. Anche il fiume Olona, che scorreva nelle vicinanze, garantiva un afflusso di acqua considerevole, indispensabile al buon andamento dell’agricoltura.
Il borgo di Garegnano si divideva in due frazioni: Garegnano Marcido (Marzo in molti documenti) e Garegnano Corbellaro. Garegnano Marcido, il cui nome derivava probabilmente dalla coltivazione del terreno con il sistema delle marcite, era la parte più antica e si collocava nella zona occupata attualmente da via Barnaba Oriani, dove si trovano ancora alcuni rari resti di cascine d’epoca, mentre Garegnano Corbellaro (altre volte chiamato Corbellario) era la frazione del paese che si sviluppò nei pressi dell’insediamento certosino.
La zona era già abitata in epoca preromana, la posizione lievemente sopraelevata rispetto all’attuale centro della città favoriva, insieme alla ricchezza d’acque come detto in precedenza, facili e redditizie coltivazioni. Questa particolare situazione orografica era stata notata anche da Francesco Petrarca, il quale, in una lettera indirizzata al suo amico d’infanzia Guido Sette, segnala come la nuova Certosa si trovasse in “elevata pianura”.
Nel 1890, durante i lavori di costruzione del nuovo Cimitero Maggiore, venne scoperta una necropoli d’epoca gallo-romana risalente al I-II secolo avanti Cristo. Gli studi sui ritrovamenti furono condotti dall’illustre archeologo Pompeo Castelfranco, il quale consegnò i reperti di quattro tombe al Museo Archeologico di Milano. Non è escluso che il sarcofago che si trova nel chiostro dei fratelli conversi della Certosa, provenga da questi scavi.
Già prima della fondazione del monastero certosino nel 1349, Garegnano è citato in documenti e contratti: nel 1107 i signori di Garegnano Marcido assegnano terreni a venticinque uomini con l’obbligo di costruirvi case e di risiedere stabilmente in quel luogo; in una pergamena del 23 febbraio 1237 relativa alla canonica di S. Ambrogio, si parla di un contributo di 16 moggi di segale e miglio, 4 staia di fave e 4 di ceci provenienti dalle terre che il monastero possedeva in loco; nel 1256 un certo Castellano de Fallo dà in pegno a Giacomo Ermenulfi 32 pertiche di prato a Garegnano e 10 di vigna site nelle vicinanze, come garanzia per un prestito di 120 lire; la famiglia Scanzi è citata più volte in documenti del XIII secolo come proprietaria di beni a Garegnano; sempre terre in Garegnano compaiono nel 1272 fra i beni confiscati a Danese Crivelli .
Pochi anni prima della fondazione del monastero certosino, Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano, provvide ad acquistare gran parte dei terreni di Garegnano, al fine di dotare la Certosa di proprietà adeguate, per soddisfare una esplicita richiesta dei monaci, i quali esigevano attorno al convento spazi possibilmente non abitati e di loro esclusiva proprietà. Giovanni Visconti acquistò buona parte di questi fondi dalla famiglia Aliprandi.