Il Vigentino, cresciuto negli anni del Barbarossa, divenne sempre più importante fino a costituire un comune, poi aggregato a Milano nel 1923. Potente memoria del territorio è la chiesa dell’Assunta, monumento nazionale per le molte importanti opere d’arte di alta scuola lombarda contenute e anche per i nomi scolpiti dei tanti Caduti, a cui il comune non riuscì a dedicare un ricordo. Sarebbe ora di trasformare lo spazio antistante questo tempio in un’isola pedonale: la piazza mancante del Vigentino, monumento di cultura
di Danilo Bertone
Vigentino è uno degli 11 ex Comuni limitrofi aggregati a Milano nel 1923. La località, posta a sud del capoluogo, lungo la strada Vigentina (l’odierna via Giuseppe Ripamonti), che da essa prendeva il nome e che collegava (e collega tuttora) Milano e Pavia, vanta una storia millenaria.
Vigilantes o vigenti?
Vigentino, la cui origine va collocata in epoca carolingia, risulta citato in documenti di compravendita fondiaria dal XII sec. in poi (come vingiantino, veglantino, vigent.). L’origine del toponimo, avvolta nel mistero, potrebbe essere ricondotta a un ipotetico etimo latino medioevale (vigilantinus?) stante a indicare la presenza di un corpo di guardia. Esiste un’ulteriore ipotesi, che legherebbe il nome alla presenza di un miliare medioevale, che avrebbe segnalato in questo luogo una distanza di venti miglia romane (1 miglio romano= 1478,5 mt) dalla città di Pavia, capitale del Regnum Italiae in epoca altomedioevale. La Strada Regia o Strada Vigentina divenne la principale arteria di collegamento fra le due città proprio nell’Alto Medioevo, dopo la decadenza dell’antica strada romana Mediolanum–Ticinum (corrispondente nel suo primo tratto alle attuali via Meda e via dei Missaglia). Tale ipotesi non è suffragata da dati scientifici, ma trova riscontro nella rilevazione empirica della distanza tra Vigentino e il centro di Pavia, percorrendo il tracciato dell’antica Strada Regia.
FRAZIONI E CASCINE: MOLTE E IMPORTANTI
Erano parte di Vigentino due antichi borghi come Vaiano Valle e Quintosole, che sono stati a loro volta sedi comunali, con un loro sindaco. Fu nel 1869, otto anni dopo l’Unità d’Italia, che furono annessi a Quintosole (928 abitanti nel 1861) sia Vigentino (797 abitanti), sia Vaiano Valle (263 abitanti), per cui il Comune neo-costituito prese il nome di Quintosole, il borgo più popoloso. Tale denominazione rimase fino al 1893, quando il consiglio comunale, data la crescita demografica di Vigentino, più vicino a Milano e influenzato dallo sviluppo urbanistico e industriale del capoluogo, decretò lo spostamento del municipio in questa località e cambiò la denominazione del Comune in Vigentino. Va inoltre ricordato che nel territorio del Comune di Vigentino sussistevano altre importanti località rurali come Castellazzo (si veda capitolo dedicato QUI), Morivione (in parte ricadente
in Vigentino e in parte in Corpi Santi e poi Milano dal 1873 vedi QUI), Macconago (comune indipendente fino al 1841 e poi annesso a Quintosole, vedi QUI) e Selvanesco (annesso a Quintosole nel lontano 1757, vedi QUI). Numerosissime inoltre erano le cascine, molte delle quali ancora esistenti e visitabili, sebbene non tutte conservate al meglio. Fra di esse vale la pena citare la Cascina e Molino della Valle, lungo la Roggia Vettabbia (vedi QUI), e la Cascina Campazzo, tuttora attiva e sede del Parco Agricolo del Ticinello (vedi QUI).
Buona parte del territorio dell’ex-comune di Vigentino presenta ancora importanti connotati di ruralità. Ampie superfici, soprattutto nella sua porzione meridionale, sono infatti ricomprese entro confini del Parco Agricolo Sud Milano e sono destinate a uso agricolo. Da questo punto di vista è interessante notare come, sin dal dodicesimo secolo, il territorio di Vigentino sia stato interessato da una consistente opera di bonifica e regimazione idraulica, condotta dagli ordini monastici dei Cistercensi, con sede presso l’abbazia di Chiaravalle, e dagli Umiliati di Mirasole. Il risultato è stato quello di trasformare aree paludose e boscose in coltivi e di creare un capillare reticolo idrico artificiale che permettesse di sfruttare con la massima efficienza le acque della Roggia Vettabbia, del Ticinello e dei numerosi fontanili qui presenti e ricordati proprio a Vigentino dal toponimo di Via dei Fontanili. La storia di Vigentino è inscindibilmente legata a quella delle acque, in particolare a quelle delle Roggia Vettabbia, antico canale di scolo di origine romana, probabilmente corrispondente agli antichi corsi naturali del Garbogera e del Seveso, che garantiva il deflusso delle acque del fossato della Milano Romana prima e di quella medioevale in seguito. Si ritiene che in epoca romana la Vettabbia potesse essere percorsa da piccole imbarcazioni e che l’origine del suo etimo possa essere proprio ricondotta alla sua presunta navigabilità, dal latino victabilis = navigabile.
Con l’installazione dei monaci Cistercensi a Chiaravalle nel 1135, la Roggia Vettabbia è divenuta il perno di un complesso sistema produttivo agricolo e artigianale, basato sullo sfruttamento delle acque a fini irrigui e per il funzionamento di mulini, gualchiere e torchi. Grazie all’intervento dei monaci, e successivamente di privati, si sono sviluppate in loco forme di produzione agricola intensiva, ad elevato livello tecnologico se rapportate con le pratiche agronomiche dell’epoca, basate su una abbondante produzione di foraggio a vantaggio dell’allevamento delle bovine da latte. Il paesaggio delle campagne di Vigentino era infatti contraddistinto, fino a pochi decenni orsono, dalla presenza delle marcite, particolare forma di conduzione agricola, che consentiva la produzione di erba fresca da foraggio anche durante la stagione invernale. Grazie a questa tecnica, innovativa per l’epoca, Vigentino e i territori circostanti potevano ottenere una disponibilità di foraggio molto superiore ad altre aree, alimentando un fiorente settore zootecnico (non a caso sembrerebbe che il famoso formaggio Grana Padano veda la sua origine proprio nella vicina abbazia di Chiaravalle).
La disponibilità di grandi quantitativi di erba durante la stagione invernale attirava a Vigentino, durante questo periodo, numerose mandrie transumanti da tutta la Lombardia. Cospicua era la presenza di allevatori dalla Bergamasca, i famosi bergamini, la cui presenza è documentata negli archivi parrocchiali fin dal Cinquecento. Numerosi infatti sono gli atti come battesimi e matrimoni, conservati nell’archivio dell’ex chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta in Vigentino, dove sono citati individui con cognomi di chiara origine orobica.
PRECEDENTI STORICI A PARTIRE DAL BARBAROSSA
Se è vero che il placido scorrere delle acque, il gracidio delle rane in estate e nebbie impenetrabili nella stagione invernale hanno scandito per secoli lo scorrere del tempo nei borghi rurali di Vigentino, questo non vuol dire che la località non sia stata protagonista di eventi storici di rilevante portata.
Decisivo punto di svolta nella storia di Vigentino è l’anno 1162, quando il villaggio ha ospitato i profughi milanesi delle porte Ticinese e parte della Romana, dopo la distruzione della città operata dall’Imperatore del Sacro Romano Impero Federico I Hohenstaufen, meglio noto come il Barbarossa. Le cronache medioevali di Ottone e Acerbo Morena e Sire Raul narrano di come gli abitanti di Vigentino accolsero con grande umanità i cittadini milanesi, che, privati di ogni avere e alla mercé dei militi tedeschi e soprattutto di quelli delle altre città lombarde alleate del Barbarossa, si dovettero adattare a vivere in capanne improvvisate. L’agglomerato degli esuli milanesi prese il nome di Borgo di Santa Maria e proprio alla Santissima Vergine venne dedicata una cappella, probabile prima chiesa di Vigentino, costruita in collaborazione con gli abitanti del luogo proprio nel sito che sarebbe stato in seguito occupato dall’attuale chiesa di Santa Maria Assunta. Tuttavia i poveri esuli furono anche costretti a edificare a Vigentino, con materiali provenienti dalla città rasa al suolo, un palazzo imperiale, probabilmente un fortilizio atto a presidiare il territorio.
Con ogni probabilità il toponimo Castellazzo ricorderebbe proprio questo edificio del XII secolo. Il rapporto fra Barbarossa e Vigentino si arricchì poco dopo di un nuovo episodio: nella gelida serata del 3 dicembre 1163 l’Imperatore si stava recando con numeroso seguito da Pavia a Monza, dove intendeva festeggiare Sant’Ambrogio. All’altezza di Vigentino avvenne un inatteso incontro con la popolazione locale, accorsa a supplicarlo di poter rientrare nella città distrutta. Le implorazioni dei Milanesi, gettatisi ai piedi dell’Imperatore in mezzo al fango e sotto una pioggia battente, non valsero a smuoverlo: egli non disse una parola. A parlare invece fu il suo gran cancelliere, l’arcivescovo di Colonia Rainaldo di Dassel, noto per essere colui che trafugò le reliquie dei Re Magi, conservate nella basilica di Sant’Eustorgio. Rainaldo convocò i Milanesi nel palazzo imperiale di Monza alcuni giorni dopo l’incontro affinché presentassero le proprie suppliche all’Imperatore. I Milanesi si recarono speranzosi a Monza, ma purtroppo furono presto disillusi. Appena arrivati fu chiesto infatti loro quali doni avessero recato al sovrano. Dato che non avevano nulla con sé, fu lo stesso Rainaldo a suggerire lo “spontaneo” regalo per il monarca: una forte somma in monete d’oro sonanti! Interessante notare come nello stemma del Comune di Vigentino compaia uno sgabello a tre gambe (vedi sopra), che è il simbolo storico del sestiere di Porta Ticinese. Questo probabilmente a ricordo dell’ospitalità fornita ai profughi di quella porta durante la guerra con il Barbarossa.
Gli esuli rientrarono pochi anni dopo nella città di Milano, che venne ricostruita, e da quel momento Vigentino visse una fase di tranquillità fino a che, alcuni secoli dopo, nel 1401, il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti donò all’ordine dei Girolamini, di origine spagnola, i fabbricati del Castellazzo (probabilmente proprio l’antico fortilizio del Barbarossa), affinché vi edificassero un monastero. Tale monastero è diventato la sede principale della branca italiana dell’Ordine (l’Osservanza di Lombardia), ospitando decine di capitoli generali e assumendo un ruolo spirituale e culturale di primaria importanza. In particolare nei primi decenni del Quattrocento il monastero del Castellazzo è divenuto un centro di propagazione dell’Umanesimo con la figura centrale del Cardinale Francesco Pizzolpasso, arcivescovo di Milano, qui ospitato durante il suo episcopato (1435-1443).
FONDAZIONE DI S.M. DELL’ASSUNTA
La storia di Vigentino da quel momento fu strettamente legata alle sorti del monastero girolamino (si veda capitolo sul Castellazzo, lo trovate QUI), tanto che furono proprio i Girolamini a ricostruire nella prima metà del Quattrocento la chiesa del borgo, per consentire ai numerosi contadini del luogo di accedere ai servizi religiosi. I recenti scavi archeologici, svolti in occasione del rifacimento della pavimentazione della chiesa dell’Assunta, hanno rinvenuto, oltre ai resti della chiesa quattrocentesca dei Girolamini, anche quelli di un edificio di culto databile al XII secolo. Tale rinvenimento rafforza l’ipotesi che la chiesa più antica sia stata proprio quella realizzata dai profughi milanesi, successivamente citata come Ecclesia Sanctae Mariae nel 1228 da Goffredo da Bussero nel suo Liber Notitiae Sanctorum Mediolani.
Va notato come la pianta della chiesa successiva, quella girolamina del XV secolo, rintracciata negli scavi archeologici, corrisponda perfettamente a una mappa redatta nel 1580 in occasione di una visita pastorale. Già dalla metà del Cinquecento, la chiesa di Vigentino venne eretta a parrocchia e inquadrata nel nuovo sistema ecclesiastico diocesano, secondo i dettami del Concilio di Trento, venendo così sottratta alla diretta influenza dei Girolamini. Le numerose visite pastorali di quel periodo rilevano l’inadeguatezza e il degrado dell’edificio quattrocentesco, proponendo sostanziali modifiche. La chiesetta era infatti talmente caduta in degrado, da essere ritenuta indegna dallo stesso cardinale Carlo Borromeo in visita pastorale nel 1571 e nel 1582. Senza contare che il numero di abitanti raggiunto dal borgo, passati in pochi decenni da circa 600 a sfiorare i mille, rendeva necessario un luogo di culto più ampio.
IL PARROCO BERNARDO BORRONI (1550-1621)
Proprio tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento Vigentino mostrò una nuova fase propulsiva incentrata sulla figura del Parroco Bernardo Borroni. Nato a Corbetta nel 1550 da una famiglia della piccola nobiltà, fu ordinato sacerdote nel 1564 all’età di soli 14 anni, evento non straordinario in quel periodo. L’anno successivo fu nominato parroco di Vigentino in sostituzione del precedente Cornelio Buzzi. Apparentato con personaggi che rappresentano il meglio della cultura milanese, fra i quali va ricordato il nipote Antonio Giggi, erudito della Biblioteca Ambrosiana e stretto collaboratore di Federigo Borromeo, Borroni era perfettamente inserito nella vita politica e culturale della Milano spagnola. A titolo di esempio egli disponeva di una biblioteca forte di oltre 100 volumi. Inquadrato nella consorteria degli Arese-Settala fu di fatto il garante di una complessa rete di affari fondiari nel territorio di Vigentino.
Il parroco Borroni, unitamente a una rete di benefattori, e con l’aiuto morale della Curia, si propose di finanziarie i lavori d’ingrandimento (di fatto di rifacimento) della chiesa. I lavori iniziarono fra il 1599 e il 1600 e terminarono intorno al 1621, alla morte del Borroni. Curiosamente, fra il 1605 il 1609, nonostante i lavori edilizi fossero ancora nel loro pieno, la chiesa diventa deposito provvisorio di un numero notevole di reliquie provenienti dalle catacombe romane, in transito verso Milano su ordine del cardinale Federigo Borromeo. L’evento segnò non solo il prestigio della chiesa, ma rilanciava la sacralità dei Corpi Santi quale territorio sacro fuori dalle mura milanesi.
Il risultato dell’iniziativa del Borroni è la pregevolissima chiesa di Santa Maria dell’Assunta, dichiarata monumento nazionale. Il tempio è uno scrigno di pittura lombarda del XVI e XVII secolo, all’interno del quale hanno operato, fra gli altri, il Cerano, alias Giovanni Battista Crespi (1573-1632) e Girolamo Ciocca (1569-1630), autore di tre grandi tele dedicate alla Vergine posizionate nella parete absidale: la Dormitio Virginis, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine. Quest’ultima è particolare perché ritrae insieme, sotto la scena, uno di fronte all’altro in atto di devozione, San Bernardo di Chiaravalle e l’omonimo Bernardo Borroni, quasi anticipando una sorta di gemellaggio fra due importanti borghi antichi come Vigentino e Chiaravalle. Al parroco promotore del rifacimento dell’edificio, si deve l’importanza artistica del tempo di Vigentino, seconda solo a Chiaravalle nel Sud di Milano. I resti del parroco sono sepolti al di sotto dell’altare maggiore.
L’OPERA PIU’ INSIGNE
La più insigne opera esposta all’interno della chiesa è tuttavia l’altare della cappella del Rosario, in legno dorato, sormontato da un affresco della Pietà di inizio Cinquecento, unica testimonianza visibile della chiesa precedente. Le pareti della cappella accolgono i dipinti dei Misteri del Rosario, di forma ottagonale, realizzati dal Cerano e della sua scuola. Probabilmente sono ascrivibili alla scuola del Cerano anche i due ritratti posti sull’altare del Rosario accanto alla statua della Madonna, raffiguranti San Carlo Borromeo e San Domenico, quest’ultimo recante il modello della nuova chiesa in costruzione.
In generale il Cerano, il Ciocca e gli altri artisti operanti nel cantiere dell’Assunta si conformarono ai dettami di sobrietà in materia artistica dettati da San Carlo nelle sue Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo del 1577. Nella vicina Macconago, nel 1623 si concludevano anche i lavori dell’oratorio dedicato a San Paolo, oggi purtroppo sconsacrato e in grave stato di abbandono, la cui costruzione è la prima a essere esattamente conforme alle Instructionum borromaiche. Vale la pena inoltre di ricordare che il Ciocca, su commissione dei certosini di Pavia, dipinse una Madonna con Bambino e San Giovannino, tra i santi Matteo, Maddalena, Caterina da Siena e Stefano, destinata al vicino Oratorio di San Matteo in Selvanesco, tavola presente nel posto fino al 1925, oggi purtroppo dimenticata in un deposito del Museo della Certosa di Pavia.
L’opera di rinnovo della chiesa dell’Assunta prosegue nel corso del Settecento, quando avvengono la costruzione dell’alto campanile (1776), la messa a dimora dell’altare centrale in marmi intarsiati, l’acquisizione di un ricco tesoro di oreficeria sacra e viene realizzato l’affresco nel battistero, un Battesimo di Gesù di Giovanni Battista Sassi (1679-1772). Quest’ultimo era un pittore formatosi a Napoli nella scuola del Solimena, che lavorò a Lodi, Brescia, Parabiago, Corbetta, Pavia, nel duomo di Monza, a Milano, e anche a Loreto. Nel corso dell’Ottocento e del Novecento prosegue l’incremento del patrimonio artistico, rendendo Santa Maria Assunta “un complesso quadrisecolare di arte e architettura in massima parte ancora inedito”, scrivono Andrea Spiriti e Laura Facchin, autori del bellissimo volume “Santa Maria Assunta al Vigentino”.
LA CHIESA DEGLI UOMINI (gèsa de òmen)
Una fotografia risalente al 1910 mostra la facciata e il campanile di Santa Maria dell’Assunta davanti a una piazzetta sterrata, attraversata da una roggia con un ponticello. La chiesa ha un aspetto povero, muri scrostati, chiaramente carente di manutenzione, circondata da casupole dai portoncini ad arco, compatibili con l’epoca medievale, dotate di un piano al massimo. È una bella visione del borgo rurale una dozzina d’anni prima dell’aggregazione a Milano. Lo stesso anno, il parroco don Ercole Bertoni (presente in Parrocchia dal 1896 e Prevosto di Vigentino dal 1900 al 1939) volle far costruire, a lato della storica chiesa, la gèsa de òmen, la chiesa degli uomini, con accesso diretto all’altare e ingresso separato dalle donne, le quali ultime continuarono a entrare dalla porta principale e a pregare nella navata.
Motivo della stravagante decisione? Vigentino negli ultimi 10 anni aveva raddoppiato gli abitanti, passando da 3.244 a 6.637, dati del censimento del 1911 (nel 1871 erano appena 2.188) per cui anche il numero dei fedeli era raddoppiato e la chiesa era, come nei secoli precedenti, il punto principale d’incontro fra uomini e donne. Si possono immaginare gli sguardi, i sorrisi, i messaggi, le occhiate fra giovani o fra vedovi/e o fra celibi/nubili lanciati dai banchi della chiesa, fattore di distrazione dalla funzione religiosa e oggetto di frequenti richiami sacerdotali. L’usanza di “conoscersi in chiesa” fra parrocchiani, praticata anche perché non esistevano altre possibilità se si voleva salvaguardare la reputazione femminile, aveva fatto talmente arrabbiare il cardinale Carlo Borromeo da arrivare al punto di vietare la “promiscuità”, ossia non solo dividere uomini da donne, ma anche installare veri e propri separé lungo le navate in modo da impedire gli ammiccamenti. Diversi secoli dopo il parroco Bertoni, spaventato dall’aumento demografico e impossibilitato a gestirlo, aveva ripreso questa drastica decisione. Curiosamente, è l’unica chiesa di Milano con ingressi separati per genere.
MONUMENTI E OSTERIE DISTRUTTE
La prima sede comunale di Vigentino, o meglio di Quintosole, dopo l’Unità d’Italia fu la cascina Pozzuolo, enorme complesso rurale situato presso l’attuale capolinea del tram 24, baricentrico rispetto al vasto territorio comunale. Oggi rimane solo una modesta porzione dell’edificio, che ospita un ristorante etnico. Dal 1893, con il cambio di denominazione del comune, il municipio viene spostato nel borgo di Vigentino, divenuto ormai preponderante dal punto di vista demografico. Il municipio di Vigentino, come mostra una fotografia d’epoca qui a fianco, era un palazzotto a due piani, essenziale, senza fronzoli, del tutto analogo ad altri municipi dei Comuni che circondavano Milano. Situato in via Ripamonti all’altezza del numero civico 202, purtroppo è andato distrutto durante un bombardamento nella Seconda Guerra Mondiale. Oggi al suo posto c’è una palazzina di recente costruzione ospitante una stazione dei Carabinieri, ma di fronte, all’inizio dell’incrocio con via Noto, rimangono alcuni edifici d’epoca.
Purtroppo la speculazione edilizia ha inferto gravi danni al tessuto edilizio antico di Vigentino, soprattutto fra gli anni Sessanta e Ottanta, quando una serie di demolizioni ai danni di edifici medievali e preziose ville aristocratiche, lasciò il posto a nuovi condomini. Tra le diverse ville distrutte del bel centro storico, completamente raso al suolo, c’era la villa Visconti del XV secolo, situata in piazza dell’Assunta, accanto alla chiesa. La facciata della villa, appartenuta ai Visconti, fu risistemata nel Cinquecento e nel Settecento, ma il retro era rimasto intatto, con mattoni a vista, finestre ad arco ribassato, un camino monumentale all’interno e decorazioni varie, il tutto chiaramente della seconda metà del Quattrocento. Sono scomparse anche le vecchie osterie per cui Vigentino era particolarmente rinomato. La Trattoria della Pianta, presso l’odierna piazza dell’Assunta, il cui nome derivava da una pianta affrescata sul muro accanto all’ingresso, probabilmente a ricordo di un grosso albero esistente nel retrostante giardino e che era stato abbattuto, è stata demolita negli anni Sessanta. Stessa sorte per il Pesce d’Oro, che si trovava in via Ripamonti di fronte al sito dello scomparso palazzo comunale. Una mappa del 1700 ricorda l’esistenza di una ‘Hosteria di Vigentino’, osteria con posta per i cavalli sita all’angolo di via dell’Assunta con via Ripamonti, dove oggi una magra aiuola non ci dice molto sul lontano passato del borgo. Infatti anche questo edificio, ricordato dai vecchi abitanti di Vigentino per aver ospitato per ultimo un ‘trani’ (rivenditore di vino), è stato abbattuto.
A ricordare il passato del borgo di Vigentino sono tuttavia rimasti alcuni edifici simbolo, come la Cà del Delfin, posta sempre sull’angolo via Ripamonti/via dell’Assunta, sulla cui facciata sopravvive, sempre più flebile, la scritta “È vietato lo scarico delle immondizie nei fossi laterali della strada”, a testimonianza del fatto che tutte le case affacciate lungo la via Ripamonti accedevano alla strada attraverso ponticelli che scavalcavano le due rogge affiancanti la sede stradale: la roggia di Sesto e il cavo Rile, posti rispettivamente sul lato sinistro e destro di via Ripamonti, provenendo da Milano. Importante per la sua valenza paesaggistica anche l’edificio del Rondò, esistente, situato all’angolo via Ripamonti/via Noto, così denominato perché fino agli anni Novanta lì era il capolinea del tram 24, principale mezzo di collegamento fra Vigentino e il centro di Milano. In realtà l’origine dell’edifico è ottocentesca. Nonostante la vicinanza a Vigentino, questo edificio, a pianta trapezoidale era stato costruito sfruttando l’estrema propaggine settentrionale (appuntita) del comune di Quintosole, che si insinuava dentro il territorio di Vigentino. Questo naturalmente prima che i due comuni si fondessero nel 1869.
PER I CADUTI LA PARROCCHIA SOSTITUISCE IL COMUNE
Vigentino è stato l’unico Comune limitrofo a non finanziare la collocazione di un monumento ai caduti della guerra 1915-18, pur avendone ben 126, tantissimi, come purtroppo accadde a tutti i Comuni del circondario milanese. In realtà, a differenza degli altri Comuni, l’iniziativa di commemorare i caduti fu condotta dalla Parrocchia, e in prima persona dal Parroco Don Ettore Bertoni. Già durante il conflitto Don Bertoni, che abbiamo già citato quale edificatore della gesa di omen, fece realizzare proprio all’interno di questa un affresco come ex voto per l’incolumità dei giovani dell’oratorio partiti per il fronte. La commuovente testimonianza esiste ancora e raffigura un combattente in divisa all’interno delle trincee con San Gabriele dell’Addolorata, patrono della gioventù cattolica, al quale era dedicato l’oratorio maschile di Vigentino, nell’atto di chiedere la grazia alla Vergine Maria per i soldati al fronte. A fianco dell’affresco erano stati successivamente dipinti i nominativi dei 126 caduti del Comune. Purtroppo questi ultimi sono stati cancellati nel 1992 e sostituito da una lapide in marmo dove sono comunque ancora riportati i nominativi.
ANTICHE RICORRENZE DEL BORGO
Quali erano le principali ricorrenze di Vigentino? Particolarmente rinomata era la festa dei lattai il dì di San Giorgio (24 aprile), quando numerose comitive popolari si spingevano fino a Morivione a consumare la panerada cont el pan de mej. Poi naturalmente le festività religiose, puntualmente ricordate in una pergamena che veniva esposta dal lontano 28 luglio 1766 presso la cappella della Madonna dei Sette Dolori al Castellazzo. La tavola, ancora oggi esistente, riporta puntualmente le feste comandate di Vigentino:
- la festa dell’Ascensione (sesta domenica dopo Pasqua, principale festa della Parrocchia),
- la festa di Maria Vergine Santissima (15 agosto),
- la terza domenica di settembre (allora festa dell’Addolorata, festa della cappella)
- e il 30 settembre (festa di San Girolamo, patrono dell’ordine dei Girolamini e del monastero di Castellazzo).
Nei dì di festa la pergamena prescriveva di addobbare la cappella di una ricca tappezzeria e di adacquare la strada ad essa prospiciente per evitare che si alzasse la polvere.
La vita degli abitanti dei borghi e delle cascine di Vigentino, in gran parte contadini, era scandita dai riti della civiltà rurale. Una tenera testimonianza di questo passato è rinvenibile all’interno della chiesa dell’Assunta, dove a lato dell’altare si trova un quadro raffigurante Sant’Eurosia, protettrice contro i fulmini, le tempeste e la grandine. Il quadro, secentesco, venne collocato nella chiesa alla fine dell’Ottocento, quando un ennesimo fulmine aveva gravemente danneggiato l’organo recentemente installato nella controfacciata della chiesa (1872). Il quadro di Santa Eurosia divenne rapidamente oggetto della devozione dei contadini di Vigentino, che a lei si affidavano all’affacciarsi dei temporali estivi, quando dispersi nei campi cercavano di raccogliere frettolosamente il fieno essiccato per portarlo in cascina, un’attività che li esponeva al rischio delle saette. Oggi il quadro di Santa Eurosia richiama la durissima vita dei salariati delle cascine, costretti a lavorare incessantemente sia nei rigidi inverni, quando una nebbia impenetrabile offuscava la vista di ogni cosa, che nelle estati afose, vincolati dalle rigide regole padronali e dall’isolamento del loro contesto sociale. A loro dobbiamo la memoria e il rispetto dei luoghi che ci hanno tramandato e che purtroppo abbiamo, al contrario, trascurato oltre ogni limite.